Un enorme accordo ombrello, che va a disciplinare materie delicate come: aiuti di stato, concorrenza, tassazione, disciplina delle imprese possedute dallo stato, lavoro e protezione sociale, politiche ambientali e commercio. Ma anche servizi finanziari, trasporti, telecomunicazioni, energia, mobilità delle persone e delle merci. E contiene una sorta di patto di desistenza sul piano fiscale, in base a cui «le parti riconoscono e si impegnano ad applicare i principi di buona governance, compresi gli standard globali in materia di trasparenza, scambio di informazioni ed equità fiscale», oltre che «gli standard Ocse contro l’erosione della base imponibile e lo spostamento dei profitti (Beps)». Arriva così, nel bel mezzo della pandemia da Covid-19, il primo progetto di accordo giuridico sul futuro partenariato tra l’Unione europea e il Regno Unito. Il coronavirus, però, non esenta il negoziato e si abbatte anche sulle trattative: il capo della delegazione europea, il francese Michel Barnier, è risultato positivo al Covid-19. Non solo. Il diffondersi dell’epidemia ha determinato la cancellazione del ciclo di incontri, previsto per questa settimana. I lavori, però, non si fermeranno; le trattative proseguiranno, laddove possibile, in videoconferenza.
Tornando all’intesa, che stando alla volontà di Londra entrerà in vigore nel 2021, la proposta di accordo è stata pubblicata ieri dalla commissione europea, dopo aver consultato Europarlamento e Consiglio Ue. Il partenariato tocca tutti i settori dei negoziati: la cooperazione commerciale ed economica, quella delle autorità di contrasto e giudiziarie in materia penale, la partecipazione ai programmi Ue e altri ambiti, come ad esempio la tutela delle Indicazioni geografiche protette. Uno specifico dossier viene dedicato a cooperazione economica e sicurezza. Un documento a parte riguarda, invece, la politica estera e di difesa.
Il capitolo fiscale. In base al testo le parti «promuovono il buon governo in materia fiscale, migliorano la cooperazione internazionale nel settore e facilitano la riscossione». In più, ribadiscono il loro impegno a «contenere misure fiscali dannose. C’è poi una clausola, in base a cui sia l’Ue che il Regno Unito «si impegnano a non adottare né a mantenere alcuna misura che indebolisca o riduca i livelli di protezione contro l’evasione fiscale previsti dalla legge e dalle prassi». Previsto quindi il raggiungimento di intese condivise su tre fronti:
– scambi di informazioni su entrate, conti finanziari, decisioni fiscali transfrontaliere, relazioni paese per paese tra amministrazioni fiscali, proprietà effettiva e potenziali accordi di pianificazione fiscale transfrontaliera;
– norme contro le pratiche di elusione fiscale;
– rendicontazione pubblica paese per paese, da parte di enti creditizi e imprese di investimento.
I testi danno cornice giuridica comune alle direttive di negoziato approvate dai rappresentanti degli stati membri nel Consiglio «affari generali» del 25 febbraio scorso e, secondo la Commissione guidata da Ursula von der Leyen, sono «in linea con la dichiarazione politica concordata» Ue-Uk dell’ottobre 2019.
Ora la palla passa al Regno Unito. Londra ha fatto sapere che presenterà a breve le sue proposte. Al contempo, il primo ministro britannico, Boris Johnson, ha escluso richieste di proroga a seguito dell’epidemia da coronavirus; dunque, il periodo di transizione della Brexit dovrebbe concludersi il 31 dicembre 2020.
Luigi Chiarello, ItaliaOggi