Delle tante facezie che circolano in questi giorni a proposito del Coronavirus, alcune meritano considerazione per la virulenta carica ironica che le connota. Sui social spopolano video e meme umoristici dei “soliti” napoletani, ma anche dei più riservati calabresi. Tutti, comunque, di ispirazione meridionalista.
Una battuta su tutte si eleva a soluzione taumaturgica contro l’epidemia da Covid-19: essendo noi calabresi preservati (a oggi) dal contagio, vuoi vedere che ci utilizzeranno come antivirus?
Come dire: il gene dell’improduttività impiegato per difendere il dna della produttività. Un’ilarità amara, pungente, affinata nei secoli per esorcizzare paure recondite, e forse anche un’occasione per assurgere a un ruolo di protagonista positivo negato dalla storia recente.
La verità è che, ancora una volta, le diverse reazioni a un evento di vasta portata sociale (qual è un’emergenza sanitaria), marca una differenza quasi antropologica tra le due “razze italiche”: la seriosità nordica, espressione senza fronzoli di un efficientismo basato sulla conoscenza e l’organizzazione (anche se sotto accusa nella circostanza); la mordacità meridionale, che rivela una concezione fatalistica degli accadimenti umani e, paradossalmente, più vicina al pensiero critico.
La prima, empirica e razionale, scavata nel solco di una cultura di matrice illuministica che non lascia spazio al cazzeggio; la seconda, beffarda e dissimulatoria, che affonda le sue radici nella visione drammatica, tutta greca, della potenza invincibile del fato. Da qui, la percezione di un’ineluttabilità degli eventi, contro la quale non occorrono ragione e disciplina ma doti di “sdrammaturgo”.
Insomma una Weltanschauung, una visione del mondo opposta, bipolare, come due sono gli estremi terrestri. A questo punto la domanda è: quale dei due “sistemi” è più utile nei casi di panico collettivo, come quello che stiamo vivendo oggi?
A prima vista l’affidarsi all’ironia (in greco=dissimulazione) sembrerebbe prevalere sull’affidarsi alle regole, non foss’altro che quest’ultime, se non “interpretate” in qualche modo, possono generare effetti opposti rispetto alle intenzioni: vedi l’isteria collettiva dell’assalto ai supermercati e dell’uso indiscriminato delle mascherine in Lombardia e Veneto (a proposito, scommettiamo che saranno proprio le mascherine l’outfit di moda nelle prossime sfilate milanesi?)
Ma il problema vero, in questa brutta storia di coronavirus, è cercare di evitare “l’elogio del castigo” da parte di certi meridionali che vedono nella geografia del virus una sorta di punizione divina della spocchia nordista, il segno di una nemesi antropologica e culturale. In questo caso l’ironia perderebbe la sua forza esorcizzante e sdrammatizzante e diventerebbe truce sarcasmo. Come quello utilizzato da certo nord civile che invocava il Vesuvio per seppellire la genìa campana.
Gianfranco Bonanno