Oggi il provvedimento del governo. Verso la riapertura graduale nelle altre Regioni. Chiuse anche le Università. I vescovi: riprendiamo le messe.
Sono oltre 800 i contagiati: per la precisione erano 821 ieri sera alle 18 quando il capo della Protezione Civile Angelo Borrelli ha fatto il punto giornaliero sull’emergenza coronavirus. L’aumento delle persone che hanno contratto il virus oscilla ancora tra le 100 e le 200 al giorno: un dato che comunque non allarma gli esperti perché finora per la metà dei casi – 412 – si tratta di pazienti, positivi al Codiv19 ma asintomatici o con un semplice raffreddore: per questo non devono essere ricoverate ma possono restare a casa, in isolamento «domiciliare» senza prendere farmaci. Sono persone che, essendo state nelle zone dei focolai oppure in contatto con altri malati, sono state sottoposte al tampone. Degli altri contagiati, 345 sono ricoverati nelle strutture pubbliche e 64 sono in cura in terapia intensiva;46 sono guariti e 21 sono deceduti. «Per quanto riguarda le morti, si tratta di persone di età elevata e che hanno una serie di patologie pregresse, quindi il coronavirus è intervenuto in un quadro clinico complicato — ha chiarito Borrelli —. Ora si tratta di fare indagini, e le farà l’Istituto superiore di Sanità, per capire se la causa della morte è il coronavirus o un’altra». Intanto il virus è arrivato alle porte di Roma: una donna di Fiumicino, che era stata nella «zona rossa» è risultata positiva al test: ora ricoverata allo Spallanzani, mentre i medici stanno cercando di ricostruire l’elenco delle persone con cui è stata in contatto.
La decisione ufficiale sulla riapertura o meno delle scuole nel Nord Italia sarà presa nella giornata di oggi. Ma secondo gli esperti dell’Istituto superiore di Sanità, chiamati dal premier Giuseppe Conte su richiesta dei governatori delle regioni del Nord ad esprimersi sull’opportunità o meno di riaprire le scuole, è meglio prolungare di una settimana la chiusura nelle Regioni con i focolai, cioè in Lombardia, Veneto e Emilia Romagna (Qui l’epidemiologo Demicheli spiega perché è necessaria una misura di questo tipo). Si tratterà probabilmente di una sospensione e non di chiusura vera e propria, perché così si potranno svolgere attività di didattica a distanza. Potrebbero invece riaprire le altre regioni che la settimana scorsa avevano deciso la chiusura preventiva: Piemonte e Liguria. Sembra dunque segnata la strada per le ordinanze che Conte ieri pomeriggio aveva rinviato a oggi: «Ci sarà un aggiornamento fino a domani, il Comitato tecnico scientifico lavora fino all’ultimo. Per quanto riguarda il Dpcm sarà emesso domani». Si fa marcia indietro rispetto all’idea di riaprire almeno nelle province del Veneto che non sono toccate dal virus (Rovigo, Belluno e Verona). Per quanto riguarda il Piemonte il presidente Alberto Cirio propone di riaprire le scuole lunedì per una pulizia straordinaria e di riaccogliere gli studenti a metà settimana. Il governatore della Liguria Giovanni Toti è pronto a riaprire ma solo se ci saranno le condizioni e la copertura del ministero della Salute. Sicuramente invece torneranno in classe gli studenti del Trentino Alto Adige. Sono finite anche le pulizie straordinarie a Napoli e a Palermo dove le scuole dovrebbero riprendere la normale attività. Il decreto legge approvato ieri sera dal Consiglio dei ministri introduce una norma del ministero dell’istruzione che deroga al limite dei 200 giorni minimi per la validità dell’anno scolastico nelle scuole chiuse per il coronavirus.
Era stata la Regione Lombardia, ieri pomeriggio a chiedere al governo centrale una proroga delle misure varate in emergenza una settimana fa, nonostante dal territorio milanese e lombardo arrivassero crescenti appelli, pressioni e proteste da parte di chi voleva una ripresa delle attività. La priorità resta quella di «contenere» il più possibile i rischi di contagio e, per dirla con il governatore Attilio Fontana, non è il momento di «abbassare la guardia». Ieri non era alla conferenza stampa perché è al secondo giorno di autoisolamento dopo che una sua collaboratrice è stata trovata positiva al tampone. Interviene per un saluto e per sottolineare la necessità di «sgombrare il campo da troppo chiacchiericcio», alludendo al dibattito partito ventiquattr’ore prima sulla necessità di far «ripartire» Milano. Quindi è lo stuolo di primari convocati a Palazzo Lombardia a costruire la premessa scientifica alla scelta politica di continuare sulla strada dei «sacrifici».
«Certamente non è una situazione facile e scordiamoci che possa essere rapidamente risolta. Parole che possono essere scarsamente popolari ma è un dato di fatto». Massimo Galli, infettivologo dell’ospedale Sacco di Milano, fa capire subito l’approccio nella battaglia contro il coronavirus: «Abbiamo un numero di infezioni che si sono verificate localmente decisamente alto – spiega – e questo è avvenuto in larga misura prima dell’arrivo del paziente 1 a Codogno. Noi dobbiamo riuscire a ridurre la diffusione in modo da passare da 2-2,5 casi per ogni persona infettata a meno di 1». Quindi chiosa: «Questa cosa non si fa da sola». Uno dei rischi, che più spaventano e che bisogna allontanare, riguarda proprio la tenuta del sistema sanitario lombardo: «Già adesso, per un’epidemia di questa scala, l’organizzazione di risposta che poteva essere messa in campo da parte della Regione Lombardia è ai limiti di tenuta, soprattutto per la gestione dei pazienti di maggiore gravità», sottolinea ancora Galli, anche perché l’emergenza «si sovrappone a una routine che è decisamente messa in crisi da una realtà di questo genere. Alcuni ospedali sono veramente in grave crisi, come quelli di Lodi e Cremona che sono sovraccarichi di pazienti». Non si tratta di una questione che possa essere circoscritta alla sola zona rossa: «L’azione deve articolarsi su alcune misure che portino l’intera grande area metropolitana a rimanere il più possibile fuori dai guai. E’ una medicina abbastanza amara da inghiottire, ma personalmente non credo che abbia alternative». «Non è la peste, non è una banale influenza», riassume Antonio Pesenti del Policlinico di Milano, per ribadire che comunque l’unica strategia è «contenere».
Tocca quindi all’assessore regionale al Bilancio, Davide Caparini indicare le scelte politiche fondate su queste premesse scientifiche: «Abbiamo chiesto di continuare la sospensione delle lezioni delle scuole di ogni ordine e grado. La richiesta deve essere accolta dal consiglio dei ministri. Al momento non abbiamo una risposta, ma è importante per la salute pubblica». Sospensione, quindi, non chiusura, sottolinea accanto a lui il vicepresidente della giunta Fabrizio Sala: significa, quindi, che i ragazzi resteranno ancora a casa ma dirigenti e docenti potranno andare a scuola e da lì organizzarsi per forme alternative di attività didattica online o a distanza. Per questo anche il ministero dell’Istruzione sta preparando materiali e una piattaforma per le scuole. Le università lombarde, nel frattempo, come avevano fatto domenica scorsa, non attendono le indicazioni del governo ma confermano la chiusura prorogata fino al 7 marzo. Seguite in serata da alcuni Atenei del Veneto, a partire da Ca’Foscari.
Corriere.it