(di Tiziano Rapanà) Me lo ricordo il testo scritto da Pasquale Panella per Battisti e non è vero che tutti capiscono tutto, qui il poeta ha toppato. Io, ad esempio, non capisco X Factor e questa sua liturgia della musica che non c’è ma si spera si palesi in futuro. Guardicchio le puntate, i concorrenti che sfilano con la veste del loro talento canoro più fosforescente affinché il pubblico a casa si accorga di loro, e provo nostalgia per i vecchi Roxy Bar di Red Ronnie dove belli e brutti cantavano tutti. Simonetta Sciandivasci, oggi sul Foglio, ha parlato chiaro: di ciccia ce n’è stata poca quest’anno. Oddio non è che l’altr’anno ci siano stati artisti degni di menzione. Ma davvero pensate che un talent show possa tirare fuori un’idea di anticonformismo, una voce che rappresenti un’alterità deflagrante rispetto alla consuetudine dell’arte nazionalpopolare? Non scherziamo. Teoricamente tutti vogliono fare i ribelli, ma non hanno la stoffa nemmeno per suonare con i Ribelli di Gianni Dall’Aglio. X Factor è una trasmissione financo divertente, che tuttavia presta il fianco al divismo dei giudicanti. Non si esibiscono i cantanti, ma le chiacchiere e la protervia dei loro allenatori. Sono loro i protagonisti del programma, tutto il resto è accessorio – compresi gli artisti in gara. E si può dare retta a questo discorso sulla musica in tv? Meglio Red Ronnie e il suo Circo volante del Barone Rosso, che ancora vola nei cieli della web tv. Qui si vedono, tutti i lunedì, artisti noti e ignoti che mostrano il loro mondo creativo senza filtri. Red Ronnie li coccola e li colloca nella trasmissione, garantendo libertà assoluta. Il beneamato, al contrario dei giurati di X Factor, non sa cantare né suonare uno strumento né ballare e pertanto non c’è il rischio di ritrovarlo sul palco core a core con l’ospite di turno, che diventerebbe inevitabilmente il designato al duetto, l’eletto dal capobanda al momento più prelibato della trasmissione. Da Red Ronnie non c’è spazio per il superfluo: nelle tre ore di trasmissione, i musicanti sono unicamente sé stessi. E non è poco. In un mondo dove l’arte della canzone è stata degradata dall’urgenza di inseguire il presente e le sue mode, c’è un programma che dà uno spazio naturale alla musica. Niente voglia di reality, qui non troverete pretesti per imbastire delle storie strappalacrime. Simonetta Sciandivasci ha raccontato bene la deriva di X Factor: un programma inizialmente convincente che – a mio avviso – si è distrutto con il commiato di Morgan. Ormai così la tv tratta le canzoni: le veste di patetismo. E se questo è l’andazzo, con il privato dell’artista che dominerà sull’arte, non ha più senso tenere conto della musica in tv. La canzone non ha più veri spazi per muoversi adeguatamente e se si toglie Red Ronnie resta il deserto.