Il numero di zanzare presenti in alcune parti dell’Africa potrebbe aumentare a causa dei cambiamenti climatici, che potrebbero pertanto ostacolare gli sforzi compiuti per eliminare la malaria. A rivelarlo uno studio, pubblicato sulla rivista Nature Communications, condotto dagli esperti dell’Università di Leeds e dell’Università di Lincoln, che hanno analizzato gli attuali modelli climatici in relazione alle condizioni necessarie alla diffusione del morbo della malaria.
“Questa patologia – spiega Mark Smith, dell’Università di Leeds – è molto sensibile al clima: prospera in ambienti caldi e umidi, adatti alla sopravvivenza delle zanzare che diffondono il morbo. Ora, a causa dei cambiamenti climatici, i nuovi modelli di temperatura e precipitazioni potrebbero contribuire alla permanenza della malaria in zone precedentemente più sicure”. Secondo gli esperti, in alcune parti dell’Africa, come il Botswana e il Mozambico, la malattia potrebbe persistere più a lungo, mentre in altre zone, come il Sudan, potrebbe diminuire drasticamente. “L’Africa rappresenta l’epicentro della malattia – continua l’esperto – dove si verifica il 98 percento dei 228 milioni di casi annuali, stimati sulla base dei dati raccolti nel 2018. Grazie agli sforzi effettuati per estirpare la malaria a livello globale, le zone in cui malattia è in grado di prosperare sono notevolmente diminuite, ma l’impatto del cambiamento climatico potrebbe alterare nuovamente gli ecosistemi e la geografia della trasmissione”. Il ricercatore ribadisce l’importanza di elaborare modelli più sofisticati per rappresentare l’epidemiologia della malaria, che tengano conto delle nuove condizioni ambientali che potrebbero favorire la presenza e la permanenza del morbo. “Il nostro approccio – afferma ancora Smith – mira a definire i rischi ambientali della malaria in modo più chiaro, ma si tratta di un primo passo nel percorso volto a incorporare modelli idrologici all’avanguardia nelle stime dell’idoneità ambientale della malaria e delle sue epidemie locali”. Secondo gli autori, una mappatura dettagliata della diffusione della malaria sarebbe fondamentale per l’organizzazione delle risorse sanitarie pubbliche. “Alcuni dei fattori che influenzano il modo in cui le precipitazioni rendono le acque adatte alla sopravvivenza delle zanzare – sostiene il ricercatore – sono piuttosto complessi, devono tenere conto anche del modo in cui l’acqua viene assorbita dal suolo e dalla vegetazione, nonché dei tassi di deflusso ed evaporazione”. Il team ha combinato un modello di idoneità climatica della malaria con un modello idrologico su scala continentale che rappresenta i processi del mondo reale di evaporazione, infiltrazione e flusso attraverso i fiumi. “La nostra soluzione – dichiara Chris Thomas dell’Università di Lincoln e seconda firma dell’articolo – offre una visione d’insieme delle condizioni favorevoli alla malaria in tutta l’Africa. Questo ci ha permesso di identificare le aree intorno al Niger e ai fiumi del Mali e del Senegal come le più a rischio, anche se attualmente non presentano condizioni favorevoli alla diffusione malaria”.
L’autore precisa che, sebbene l’acqua di questi grandi fiumi non rappresenti un habitat adatto alle zanzare, possono crearsi bacini, piccoli stagni o pianure alluvionali che invece sono terreni ideali per la riproduzione delle larve. “Si tratta di un potenziale pericolo – conclude Smith – perché gli insediamenti umani sono piuttosto comuni nei pressi dei fiumi. Collegare i processi geografici fisici alla biologia ci aiuta a comprendere meglio le complessità e le relazioni esistenti tra l’ambiente e la fauna naturale. Il prossimo passo sarà sviluppare un approccio completo su scala locale, per individuare le zone potenzialmente a rischio”.