E’ finalmente accordo sul Recovery Fund: i leader europei impegnati in duri negoziati da venerdì scorso, alle 5,32 del mattino, dopo l’ennesima notte di trattative, con gli occhi cerchiati dalla stanchezza approvano per acclamazione e applauso finale il testo di un vertice combattuto fino all’ultimo, che in più di un’occasione è arrivato a un passo dal fallimento e risolto sul filo di lana nell’ennesimo incontro sulle riforme tra Conte e Rutte, guidati da Merkel e Macron. Può dunque vedere la luce il piano straordinario da 750 miliardi per salvare i paesi più colpiti dal Covid dal tracollo finanziario. Soldi che saranno reperiti da Bruxelles tramite gli Eurobond. Un passo storico per l’Unione, che cambia le politiche economiche del continente al termine di un drammatico summit, che entrato nel quinto giorno di tratttative, supera per lunghezza il record di quattro giorni e quattro notti di colloqui del vertice di Nizza del 2000.
“Deal!”, scrive il presidente del Consiglio Europeo Charles Michel su Twitter. E pochi minuti dopo dichiara: “Ce l’abbiamo fatta, l’Europa è forte ed unita”. “E’ un ottimo accordo, e accordo giusto”, ha commentato visibilmente soddisfatto. “Ed è un segno concreto che l’Europa è una forza in azione”, ha aggiunto Michel.
“Abbiamo conseguito questo risultato tutelando la dignità del nostro Paese e l’autonomia delle istituzioni comunitarie”, dice il premier Giuseppe Conte in conferenza stampa al termine del Consiglio europeo.
“E’ un giorno storico per l’Europa”, commenta il presidente francese, Emmanuel Macron.
Ieri sera dopo un’altra infinita giornata di bilaterali e rinvii del decisivo incontro a ventisette, Charles Michel ha radunato i capi di Stato e di governo e insieme alla cena ha servito la nuova bozza di accordo, attesa da 48 ore. La proposta salva i 750 miliardi del Recovery, anche se dei 500 miliardi a fondo perso 110 si trasformano in prestiti su spinta dei “frugali”, che ottengono anche un aumento dei loro rebates, gli sconti ai versamenti al Bilancio comune 2021-2027. L’equilibrio finale del Recovery è dunque di 390 miliardi di sovvenzioni da non rimborsare e 360 miliardi di prestiti.
Grazie a uno spostamento delle poste all’interno del “Next Generation Eu”, l’Italia limita i danni e perde 3,8 miliardi di aiuti diretti, con l’asticella a 81,4. Guadagna invece 38 miliardi di prestiti, nella nuova versione pari a 127 miliardi. Sommando le due voci, dei 750 miliardi europei 208 andrebbero al nostro Paese, confermato primo beneficiario del Fondo davanti alla Spagna. I soldi degli Eurobond inizieranno ad arrivare nel secondo trimestre del 2021, ma all’ultimo i leader hanno deciso che potranno essere usati retroattivamente anche per coprire le misure prese dal febbraio 2020, purché compatibili con gli obiettivi del Recovery.
L’Italia però sarà sorvegliata speciale sull’uso dei finanziamenti. Nella prima proposta di Ursula von der Leyen, sarebbe stata la Commissione europea a decidere sui fondi, lasciando ai governi un ruolo marginale. Soluzione contrastata sin da inizio lavori da Mark Rutte, intenzionato ad avere un diritto di veto per costringere Roma anche alle riforme più impopolari in cambio dei fondi. Di fronte alla pressione olandese, dopo giorni di scontri con Conte, che resteranno nella memoria collettiva del vertice, prima di mezzanotte si è registrato un nuovo, ultimo, duello tra i due che ha costretto Michel a interrompere di nuovo la seduta plenaria che avrebbe dovuto approvare il testo finale. Conte e Rutte sono stati scortati in una stanza separata da Merkel e Macron e si è arrivati all’intesa.
La soluzione prevede che quando (il prossimo autunno) un governo proporrà il suo Piano nazionale di riforme, precondizione per accedere al Recovery, la Commissione deciderà entro due mesi se promuoverlo in base al tasso di rispetto di politiche verdi, digitali e delle raccomandazioni Ue 2019-2020: per l’Italia riforme di pensioni, lavoro, giustizia, pubblica amministrazione, istruzione e sanità. Su richiesta di Rutte, contrastata invano da Conte, il giudizio di Bruxelles sarà però votato anche dai ministri a maggioranza qualificata: un gruppo di paesi che rappresenta il 35% della popolazione potrebbe bloccarlo, anche se i “piccoli” nordici per riuscirci dovrebbero trovare l’appoggio di un partner medio-grande.
Rutte è inoltre riuscito a imporre un “Super freno d’emergenza” per i successivi esborsi dei soldi, condizionati alla verifica degli obiettivi intermedi del Piano di riforme nazionale. Significa che le singole decisioni sui pagamenti della Commissione dovranno essere confermate dagli sherpa dei ministeri delle Finanze della zona euro (Efc) «per consenso»: qualcosa meno di un diritto di veto.
Alberto D’Argenio, Repubblica.it