Alla ripresa dovremo recuperare il tempo perduto, ma i casi di «bis in idem» non aiutano
Caro direttore, quando saremo chiamati a riprendere le nostre attività, recuperare il tempo della forzata quarantena sarà per tutti un imperativo categorico. Provare ad accelerare non dipende, però, solo dalla volontà di ciascuno, ma è legato alle norme che disciplinano l’agire dei singoli e delle imprese. Sarà, allora, inevitabile interrogarci su quante tra le regole oggi vigenti siano effettivamente utili o si tratti invece di duplicazioni, di norme pensate solo per tutelare le burocrazie pubbliche o per favorire le rendite di posizione. Per questa ragione, dobbiamo immediatamente disporci a una manutenzione straordinaria del nostro sistema normativo. Formulo qui una proposta di semplice e agevole realizzazione. Eliminiamo subito qualsiasi forma di bis in idem, per riaffermare il diritto a non essere regolati, giudicati e poi puniti due volte per lo stesso fatto. Ne do prova con tre esempi.
(i) Una violazione del divieto di bis in idemsi verifica nel settore della contrattualistica pubblica. Tipico è il caso delle imprese sanzionate dall’Autorità Antitrust, i cui provvedimenti, oltre a infliggere pene pecuniarie di importi significativi e, in taluni casi, capaci anche di determinare l’insolvenza, riflettono i propri effetti nelle gare pubbliche. Le sanzioni dell’Agcm, infatti, possono essere valutate dalle Pubbliche Amministrazioni come cause di esclusione dalle procedure di gara ed espongono i rispettivi destinatari anche a ulteriori conseguenze afflittive, consistenti, in particolar modo, nell’irrogazione di sanzioni da parte dell’Autorità Nazionale Anticorruzione, oltre che nell’escussione delle fideiussioni rilasciate. Lo stesso fatto sanzionato dall’Agcm, quindi, finisce di fatto per essere punito una pluralità indefinita di volte, finendo per escludere dal mercato le imprese italiane che sono già state punite per l’illecito commesso, a tutto vantaggio dei concorrenti stranieri.
(ii) Un fenomeno analogo si verifica nel mercato finanziario.Mi riferisco al regime del cosiddetto «doppio binario» sanzionatorio previsto in tema di abusi di mercato. In sede di recepimento della Direttiva Mad, che non precludeva il cumulo sanzionatorio ma configurava le misure amministrative come obbligatorie e quelle penali come eventuali, il legislatore nazionale ha scelto il doppio binario in modo cumulativo, introducendo nel Tuf due distinte fattispecie di insider trading e di manipolazione del mercato, una penale e una amministrativa. Così che per effetto di tale duplice regime sanzionatorio, una medesima condotta illecita è rilevantemente punita sia in sede penale, ad opera del giudice ordinario, sia in sede amministrativa ad opera della Consob. La situazione non è cambiata in occasione del recepimento della Direttiva Mad II che ha introdotto l’obbligo per gli Stati membri di prevedere sanzioni penali per gli illeciti di abuso di mercato, perché il legislatore italiano ha mantenuto il cumulo sanzionatorio.
(iii) Un terzo caso è costituito dalle sovrapposizioni di competenze sanzionatorie tra le varie Autorità di regolazione del mercato. È emblematico il caso in materia di pratiche commerciali scorrette. Ciò che talora è ritenuto del tutto lecito per un’autorità settoriale non lo è invece per l’Autorità garante della concorrenza e viceversa. Parimenti, accade che un’autorità voglia sanzionare un’impresa per effetto di regole che solo il regolatore di settore potrebbe legittimamente introdurre.
I casi che ho illustrato sono tutti espressamente previsti dal legislatore italiano, ma appaiono di difficile compatibilità con l’ordinamento europeo. Il diritto europeo vieta di punire lo stesso fatto con più sanzioni amministrative ogni qual volta le sanzioni siano irrogate all’esito di due procedimenti che perseguono i medesimi fini e non sussista un raccordo tra le autorità intervenienti, assicurando così il rispetto del principio di proporzionalità della pena. La pluralità di sanzioni irrogate per lo stesso fatto non accresce la prevenzione dei comportamenti illeciti, ma semmai favorisce gli arbitraggi e l’opportunismo degli operatori. L’illecito delle imprese va punito con una sola sanzione, chiara, proporzionata e conosciuta ex ante. Il gold plating del legislatore nazionale, ossia le addizioni domestiche al quadro normativo europeo, oltre che non richieste, sono spesso inutili oltre che dannose per il mercato e per i consumatori.
Andrea Zoppini, Corriere della Sera