L’obbligo di rimanere a casa ha fatto emergere nel giro di poche settimane tutti i problemi legati all’inadeguatezza di molte abitazioni, all’insufficienza delle competenze informatiche e degli strumenti per lavorare e studiare a distanza. Oltre un quarto degli italiani vive in condizioni di sovraffollamento abitativo, rileva l’Istat in un’indagine appena diffusa, la quota sale al 41,9% per i minori. Le case abitate dagli italiani, emerge da un’indagine del think tank RUR (al quale partecipano, tra gli altri, Cdp, Unipol, Federcasa, Intesa Sanpaolo e Tim) in media misurano 81 metri quadrati, meno dei 95 del Giappone e dei 97 della Spagna, o dei 109 della Germania e dei 112 della Francia. E dunque questo rende più difficile la convivenza forzata per 24 ore al giorno, soprattutto con l’obbligo di ricavare per tutti o parte dei componenti della famiglia spazi adeguati di studio e di lavoro.
Secondo Eurostat, tra i grandi Paesi europei l’Italia vive in una condizione abitativa più disagiata con il 30,9% dei nuclei con una disponibilità di spazi residenziali inferiore agli spazi europei di riferimento. Al 30,9% italiano si contrappone l’8,2% della Francia, il 6,3% della Germania e il 5% della Spagna. “Gli italiani, seppur forzatamente, stanno riscoprendo la vita domestica.- osserva il presidente della RUR Giuseppe Roma – ed è inevitabile che emergano i pregi e i difetti della propria abitazione. Il modello abitativo tutto proiettato verso l’esterno ci ha fatto sottovalutare le prestazioni dell’immobile in cui viviamo e ora ne rileviamo i limiti. Di questo bisognerà tenerne conto anche nel gestire la sacrosanta regolamentazione del lockdown”. Le condizioni di disagio abitativo possono anche arrivare, attesta l’Istat, a condizioni di grave deprivazione: il 5% degli italiani vive in abitazioni che presentano problemi strutturati o che non hanno il bagno o la doccia con l’acqua corrente o che hanno problemi di luminosità.
Ma non si tratta solo degli spazi. Lavorare o seguire le lezioni scolastiche o universitarie in casa richiede un’adeguata attrezzatura, di cui la media delle famiglie non dispone. Il 33,8% delle famiglie, rileva l’Istat, non ha computer o tablet in casa, la quota scende al 14,3% però nelle famiglie con almeno un minore. Pur sempre una percentuale elevata. Inoltre solo per il 22,2% delle famiglie ogni componente ha a disposizione un pc o tablet: per gli altri vale la gestione comune, con tutti i problemi e la sovrapposizione di impegni del caso in questo periodo. Nel Mezzogiorno la quota delle famiglie senza computer sale al 41,6%, un dato che potrebbe ancora di più scavare un solco nel grado di apprendimento scolastico tra le varie aree del Paese. C’è anche una forte differenza a vantaggio dei grandi centri, mentre nelle piccole città è più alta la quota di chi non ha un computer.
Tra l’altro non è detto che chi dispone di un computer sia in grado di usarlo. Nel 2019 tra gli adolescenti di 14-17 anni che hanno usato Internet negli ultimi tre mesi ben due su tre hanno competenze digitali basse mentre solo meno di tre su dieci si attesta su livelli alti.
Rosaria Amato, Repubblica.it