Il richiamo irresistibile dell’email o di Whattsapp fuori dall’orario di lavoro. Per “sentirsi coinvolti e restare aggiornati”, o forse perché “le aziende se lo aspettano”. Il risultato è che il 71 per cento degli italiani risponde ai messaggi inviati al di fuori dell’orario di lavoro, e il 68 per cento lo fa immediatamente. Secondo l’ultima edizione del Randstad Workmonitor, l’indagine sul mondo del lavoro della multinazionale olandese leader nei servizi per le risorse umane, questa tendenza alla perenne connessione col lavoro ci caratterizza in Europa: solo Portogallo e Romania sono più solleciti. E non è neanche una questione di età perché comunque anche tra i lavoratori più anziani la quota dei sempre connessi è del 66 per cento.
Cosa ci è accaduto? E’ l’altra faccia, anzi forse la faccia cattiva dello smartworking, del lavoro che non si svolge più solo in ufficio ma ovunque possa far comodo, a casa, in treno o in un’altra città? “Il tema va posto nella giusta prospettiva. – obietta Ilario Alvino, giuslavorista, professore all’Università La Sapienza di Roma – Il lavoro agile è un’ottima opportunità per le persone e per le aziende. E’ vero che l’unica norma che parla di disconnessione è la l’art.19 della legge 81/2017 sul lavoro autonomo e il lavoro agile, ma è piuttosto un problema legato alle nuove tecnologie e riguarda tutti, anche chi lavora con modalità tradizionali. E in quanto tale va regolato, come è già avvenuto in altri Paesi, per esempio in Francia dove c’è una legge sulla disconnessione”.
A parte dalla legge 81/2017, il diritto alla disconnessione è sancito, in termini molto più ampi, dunque non in correlazione al lavoro agile, dal contratto della scuola e da quello del credito. “La norma che abbiamo inserito nel nostro contratto è molto semplice. – spiega Lando Sileoni, segretario generale della Fabi, il maggiore sindacato dei bancari – Stabilisce che non debbano essere fatte telefonate o mandate email ai dipendenti dopo l’orario di lavoro. Abbiamo vietato anche le email perché è vero che in teoria il lavoratore può anche non rispondere, ma è una forma di pressione psicologica. E’ una norma necessaria perché con le nuove tecnologie il nostro lavoro era diventato un inferno totale, arrivavano messaggi e telefonate a qualunque ora per vendere prodotti di qualunque tipo”.
E infatti l’indagine di Randstad sembra dare ragione a Sileoni: il 59 per cento dei lavoratori italiani ritiene che i datori di lavoro si aspettano che i dipendenti siano disponibili a lavorare anche al di fuori dell’orario d’ufficio, e il 52 per cento ritiene che venga ritenuto normale rispondere ai messaggi di lavoro anche nel tempo libero. D’altra parte anche tornare in ufficio e ritrovarsi una montagna di messaggi arrivati al di fuori dell’orario di lavoro a cui è necessario rispondere in tempi brevi è una forma di “oppressione”. Ecco perché molte scuole, applicando il contratto collettivo di lavoro che rinvia alla contrattazione d’istituto per stabilire le modalità e i tempi di invio dei messaggi al di fuori dell’orario di lavoro, hanno spesso norme di questo tipo (questa è tratta dal regolamento interno di una scuola di Ragusa, sottoscritto da tutti i sindacati dei lavoratori che operano nell’istituto): “Le comunicazioni di servizio (avvisi, circolari, ecc.) vengono pubblicate sul sito istituzionale e sul registro elettronico entro le ore 16.00; con la stessa tempistica le comunicazioni sono inoltrate al personale tramite la posta elettronica di servizio o altra posta elettronica comunicata e autorizzata all’uso dal personale stesso o altre piattaforme. È fatta salva la possibilità per l’Amministrazione di inviare o ricevere comunicazioni, tramite qualunque supporto, oltre gli orari indicati in caso di urgenza indifferibile”.
“A una mia collega è capitato di ricevere una comunicazione dal preside il 13 agosto alle 6 di mattina, e non si trattava di una comunicazione urgente. – spiega Anna Maria Santoro della FLC CGIL Nazionale – Con la scusa che neanche il ministero rispetta gli orari, i presidi avevano preso l’abitudine di inviare per email o whattsapp comunicazioni non urgenti 24 ore su 24. Un contro è correggere i compiti al di fuori dell’orario scolastico: quello rientra nella mia funzione d’insegnante. Un conto è questa continua pioggia di messaggi, privi di una reale urgenza, ma non per questo meno invasivi. Noi abbiamo preferito rinviare a ogni singola scuola il regolamento preciso del diritto alla disconnessione, ma abbiamo comunque stabilito alcuni criteri generali, anche riferendoci alle norme”.
Per esempio, il d. Lgs 66/2003 prevede che il lavoratore abbia diritto a undici ore di riposo consecutivo ogni 24 ore, e ad almeno 24 ore di riposo consecutive ogni sette giorni. Si tratta di tempi che adesso si traducono in diritto alla disconnessione. Anche là dove il diritto alla disconnessione non è stato sancito, i sindacati aspirano a inserirlo al più presto nel contratto collettivo: la situazione sta sfuggendo di mano se è vero che il 53% dei lavoratori italiani sceglie di gestire questioni di lavoro persino mentre è in vacanza (dati Randstad).
“Nel macro comparto del terziario, distribuzione e servizi – dice il segretario generale della Fisascat Cisl Davide Guarini – si rende necessaria una rivisitazione molto profonda delle norme contrattuali tese non solo ad introdurre una serie di diritti e tutele per i lavoratori agili ma anche a definire delle regole che facciano ordine rispetto agli ambiti e ai tempi nei quali il lavoratore è tenuto ad operare in stretto raccordo con la propria impresa. Il sindacato è fermamente intenzionato ad introdurre nella contrattazione regole uniche, certe e cogenti per rendere la flessibilità uno strumento efficace e soddisfacente e veramente utile alla conciliazione dei tempi di vita e della qualità del lavoro”.
Rosaria Amato, Repubblica.it