Se il numero delle donne nei consigli di amministrazione delle società italiane quotate in Borsa cresce, è ancora raro trovarle al vertice dei gruppi. A evidenziarlo un rapporto Consob sulla corporate governance. “Le donne ricoprono la carica di amministratore delegato in 15 società, rappresentanti il 2,5% del mercato in termini di capitalizzazione, mentre presiedono il board in 25 emittenti, rappresentanti circa un terzo della capitalizzazione di mercato”, spiega lo studio. Oltre il 72% delle donne sono amministratori indipendenti, percentuale in continua crescita dal 2013; cresce anche il numero di donne nominate dalle minoranze attraverso il sistema del voto di lista, che “ha raggiunto nel 2019 il valore massimo di 68 amministratrici, presenti nel board di 56 società di grande dimensione (quasi tre quarti della capitalizzazione complessiva del mercato)”. In linea con l’anno precedente, nel 2019 il 34% delle amministratrici è titolare di incarichi nel board di altre società quotate; il dato mostra per la prima volta un arresto dell’aumento dell’interlocking femminile registrato dal 2013 (quando le donne interlockers erano circa il 19% del totale). La presenza femminile nei consigli d’amministrazione e nei collegi sindacali delle società quotate italiane ha raggiunto livelli record dopo l’ultima tornata di assemblee del giugno scorso. A evidenziarlo il rapporto Consob sulla corporate governance, che sottolinea come abbia raggiunto rispettivamente il 36% e il 39% degli incarichi di amministrazione e di controllo. Il risultato “è principalmente riconducibile alla Legge 120/2011, che ha imposto criteri di genere per la composizione degli organi sociali per i tre rinnovi successivi all’agosto 2012. La legge sembra aver prodotto degli effetti persistenti anche rispetto agli emittenti in cui non si applica più: infatti, le società che hanno completato i tre rinnovi previsti dalla Legge 120/2011 registrano una quota femminile pari al 33% del board”. Un dato simile si rileva in media nelle società che non sono ancora soggette alla disciplina poiché neo-quotate. Spariscono le ‘azioni di risparmio’, crescono i meccanismi di voto maggiorato. A evidenziare la tendenza, nel suo rapporto sulla corporate governance delle società quotate, è la Consob. “Con riferimento alla deviazione dal principio ‘un’azione, un voto’, si conferma in calo il numero di società che emettono azioni di risparmio, pari a 14 a fine 2018, mentre aumenta il numero di emittenti che hanno introdotto il voto maggiorato”, evidenzia l’autorità di vigilanza sul mercato. In particolare, tre imprese hanno emesso azioni a voto multiplo e 47 hanno previsto in statuto le ‘loyalty shares’; tra queste ultime, a fine 2018 gli azionisti hanno maturato la maggiorazione dei diritti di voto in 28 casi.