
Diventa sempre più farraginoso il raccordo tra formazione e mondo del lavoro, almeno a sentire quel che denunciano le imprese che vanno in caccia di talenti. Un cortocircuito che rappresenta un vero e proprio paradosso, a maggior ragione nelle economie – come la nostra – che nonostante i tassi di occupazione ai massimi delle serie storiche presentano ancora gravi problemi di senza lavoro, soprattutto tra i più giovani.
Eppure una ricerca che ManpowerGroup ha portato a Davos durante il World Economic Forum dice chiaramente che nell’ultimo decennio sono quasi raddoppiate le aziende che denunciano il “talent shortage”, la mancanza di profili adeguati rispetto alle loro esigenze produttive. Dichiara di trovarsi in questa situazione il 54%delle aziende, mentre eravamo al 30% nel 2009. In 36 su 44 Paesi analizzati si rileva un peggioramento nella capacità di attirare talenti qualificati solo rispetto all’ultimo anno: sono i datori di lavoro negli Stati Uniti (69%), in Messico (52%) in Italia (47%) e in Spagna (41%) a registrare le maggiori difficoltà nel trovare i lavoratori con le giuste competenze.
Al primo posto tra i profili che mancano di più ai datori di lavoro si trovano i mestieri manuali, ma ad alta specializzazione: elettricisti, saldatori, meccanici specializzati. Seguono profili del commerciale e marketing, poi staff tecnici, ingegneri, autisti di mezzi pesanti, esperti di cybersecurity e It, auditor e analisti finanziari, addetti alle macchine nella filiera manifatturiera, operai edili e infine addetti ai servizi alla persona come infermieri. “Gli staff dei contact center, gli addetti al lavoro d’ufficio, ma anche gli esperti legali – spiega la ricerca – scivolano fuori dalla top ten perché cresce l’automazione delle mansioni routinarie”. Non soffrono dunque solo gli addetti alle catene di montaggio, ma il 4.0 rischia di rubare spazio anche al mondo degli ex colletti bianchi. “E mentre la tencologia irrompe sul lavoro, molte professioni richieste sembrano uguali al passato. Ma le skill necessarie per ricoprire questi ruoli sono profondamente cambiate”.
“In un mondo sempre più abilitato dalla tecnologia, le persone che hanno competenze sono molto richieste”, ha dichiarato Jonas Prising, Presidente e ceo di ManpowerGroup a commento della ricerca. Ecco dunque che la società di risorse umane è andata a vedere quali sono le richieste dei lavoratori, a seconda della loro fase di carriera, per capire come si possono attirare nelle proprie fila. Ne è emerso un quadro per certi versi sorprendente, con le fasi iniziali e finali del ciclo lavorativo fortemente condizionate dalla quesitone strettamente economica delle retribuzioni. Nel mezzo, invece, nelle esigenze dei lavoratori prendono piede altre priorità.
Nella Generazione Z (18-24 anni) la ricerca rintraccia “giovani ambiziosi, desiderosi di guadagno e di sviluppo di carriera”. Si nota differenze tra uomini e donne: “Le donne attribuiscono un livello di priorità due volte maggiore alla retribuzione, rispetto alla priorità successiva, ovvero lo sviluppo delle competenze, mentre gli uomini affermano che le competenze e la carriera contano almeno quanto la retribuzione”. Nello scaglione successivo, quello dei Millennials (25-34) la priorità va a “flessibilità e lavoro stimolante; le donne dichiarano che la flessibilità è una necessità, mentre gli uomini ne approvano l’utilità pur non reputandola strettamente necessaria”.
Seguendo l’anagrafe, la ricerca individua “l’equilibrio” come il primo degli interessi della Generazione X (35-44 anni): “Per uomini e donne la flessibilità è una priorità e desiderano la possibilità di lavorare a distanza, di poter usufruire della propria quota di congedo parentale e una flessibilità di inizio e fine giornata lavorativa”. Infine, i Boomers (55-64 e oltre 65 anni) “sono guidati nelle scelte lavorative dalla retribuzione, dal lavoro stimolante e dalla flessibilità, sebbene attribuiscano la massima priorità alla leadership e al team. I lavoratori in età avanzata vogliono lasciare il proprio contributo alla comunità: gli over 65 sono i più motivati dall’orientamento ai risultati”.
Raffaele Ricciardi, Repubblica.it