Bastano 10 euro per avere 990 follower su Facebook oppure 2.439 su Twitter, 3.846 su Instagram, 458 su YouTube. Sempre con 10 euro si comprano 11.627 visualizzazioni su Facebook oppure 4.347 su Twitter, 3.267 su YouTube, 13.158 su Instagram. E così via anche per i like e per i commenti, anche se questi ultimi costano molto di più visto che con i soliti 10 euro si arriva al massimo a 200 commenti su Instagram, il social più a buon mercato quando si tratta di interazioni manipolate.
Il listino arriva dal Nato Strategic Communication Centre of Excellence, la struttura dell’alleanza atlantica che si occupa delle comunicazioni e che ha voluto vederci chiaro sulla capacità o meno delle piattaforme social di contrastare i falsi account e le false interazioni online. L’interesse dello studio era di capire quanto questi canali di influenza (politica e non) riuscissero ad autoregolarsi e la risposta è stata negativa, tanto che il titolo del report è «Cadendo all’indietro: come i social media stanno fallendo nel combattere i comportamenti non autentici online».
«Per soli 300 euro, siamo stati in grado di acquistare 3.530 commenti, 25.750 mi piace, 20 mila visualizzazioni e 5.100 follower. Un’alta percentuale di questa somma è andata a fornitori europei, che sono più costosi e spesso meno affidabili», si legge nello studio, che sottolinea come al contrario i fornitori russi siano meno costosi.
Come si sa, ormai da tempo, c’è un mercato nero per la manipolazione dei social media e la sua dimensione «è maggiore di quanto si pensi». Secondo il report, i fornitori di servizi russi dominano questo mercato: «Praticamente tutti i principali fornitori di software e infrastrutture di manipolazione identificati da noi sono di origine russa». Sono chiamati Manipulation service providers e a loro volta forniscono terzi che rivendono i loro servizi fatti di commenti, click, like e condivisioni. Si capisce come l’attenzione della Nato e dei suoi organismi sia massima dopo le accuse di intromissione nelle elezioni americane e in generale occidentali di cui però nel report non si fa cenno.
Il Nato Strategic Communication Centre of Excellence ha acquistato interazioni da 11 provider russi e 5 europei: uno polacco, due tedeschi, uno francese e anche uno italiano. Ma non per dimostrare che è possibile quanto, come detto, per verificare l’efficacia delle difese dei social. Ebbene, gli account creatori di interazioni manipolate sono rimasti online anche un mese dopo il loro primo utilizzo e spesso anche dopo una segnalazione fatta ai social. In generale, mentre le piattaforme riescono a contrastare meglio gli account e i follower fake, i loro mezzi o il loro impegno non sono così efficaci contro i commenti e le visualizzazioni non autentici: «l’autoregolamentazione non sta funzionando».
Ma quali ambiti riguarda la manipolazione? C’è la politica, ma molto meno di quanto si pensi. Il commercio di interazioni non autentiche riguarda per oltre il 90% dei casi scopi commerciali. Si capisce come sia particolarmente delicato l’ambito della comunicazione social: «Gli acquirenti vanno da individui che cercano di aumentare la loro popolarità a influencer che manipolano il sistema pubblicitario online ad attori a livello statale con motivazioni politiche».
«L’utilizzo di account o like/traffico falsi per gonfiare il successo delle campagne di social media marketing è una pratica purtroppo oramai significativamente diffusa che in termini economici, a livello globale, vale miliardi di euro», commenta Eugenio Bettella, avvocato di Rödl & Partner. «Soprattutto configura una pratica illegale le cui prime vittime sono ovviamente i consumatori, ma anche le imprese sia dal lato della propria reputazione, qualora emergesse agli occhi del pubblico una pratica simile (per quanto incolpevolmente laddove adottata dall’influencer per prezzare al rialzo la propria testimonianza), ma anche a livello di responsabilità civile laddove un giudice intravedesse una commistione tra influencer e impresa committente». Il problema è che manca ancora una legislazione specifica in materia, cosa che porta le aziende a cercare tutele con altri strumenti.
Andrea Secchi, ItaliaOggi