(di Tiziano Rapanà) Ad avercelo un capo del governo, come quello finlandese. La splendida Sanna Marin, giorni addietro ha dichiarato di voler introdurre un orario di lavoro flessibile. Quattro giorni a settimana, con un giornata lavorativa di sei ore. In soldoni, 24 ore a settimana. Ce ne fossero di governanti così al mondo. Non sono l’unico fan della Marin, anche la scrittrice Nadia Terranova la trova meravigliosa. Oddio… meravigliosa non mi pare, sempre sei ore al giorno sono. L’essere umano non dovrebbe lavorare più di tre ore al giorno. E non parlo tanto dei lavori intellettuali, magari professioni che uno sceglie di fare e che sogna di svolgere sin da bambino: se uno ama quello che fa può lavorare anche 10 ore al giorno. Io mi riferisco ai tanti individui che svolgono i lavori usuranti e a cinquant’anni si ritrovano ad avere l’aspetto di settantenni andati a male. Non giriamoci attorno. Salvo per alcune categorie, il lavoro non nobilita l’uomo ma lo mortifica. L’essere umano dunque non dovrebbe lavorare, a mio parere, più di 3-4 ore al giorno, per poter vivere nelle restanti 12 (escludo le eventuali 8 ore di sonno). Non la penso come Fulvio Abbate che sogna di abolire il lavoro, non amo gli estremismi. Epperò 8 ore al giorno sono troppe. E non parlo per me, ma per l’operaio, per chi lavora alla catena di montaggio… mi pare di essere stato chiaro e non è il caso di ripetermi. Tra l’altro non mi piace nemmeno che si debba lavorare nei giorni festivi, un tempo i negozi non aprivano la domenica. Adesso non è più così, gli esercizi commerciali sono quasi sempre aperti. Ma è inutile che ve lo scriva, perché io predico bene ma razzolo malissimo. Ieri, giorno dell’Epifania, avrei voluto passeggiare le strade di città, sedere e riflettere in una delle vecchie panchine della villa comunale. Ma, braccato dal freddo impetuoso, mi sono rifugiato in un centro commerciale. E quindi che ve lo dico a fare: anch’io come tanti ieri ho fatto delle spesucce, godendo dell’aria climatizzata che riscaldava l’ambiente. Non me ne vergogno, anche se penso a quei dipendenti che non hanno potuto vivere al meglio il giorno di festa.