Si scrive “riduzione dei sussidi ambientalmente dannosi” e “ridefinizione delle esenzioni in materia di trasporto”. Si legge “aumento del diesel”. Potenzialmente una vera e propria stangata sulle tasche degli italiani. Secondo uno studio di Assopetroli un aumento delle accise “colpirebbe duramente le nostre imprese e con esse settori vitali dell’economia italiana tra cui logistica, trasporti, agricoltura, marina. L’aumento si trasferirebbe immediatamente sul prezzo dei beni con effetti depressivi sulla domanda”. Tradotto, secondo i petrolieri, un aumento delle accise non fa crescere le entrate fiscali, anzi rischia di ridurle.
Il taglio dei sussidi sul diesel, già paventato lo scorso mese di febbraio dall’ex ministro dell’Economia, Giovanni Tria, è tornato di attualità dopo il via libera della commissione Bilancio del Senato all’emendamento al ddl di bilancio presentato da Leu, prima firmataria Loredana De Petris, che prevede l’istituzione, presso il ministero dell’Ambiente, di una “commissione per lo studio, le proposte per la transizione ecologica e per la riduzione dei sussidi ambientalmente dannosi“. L’obiettivo è quello di “elaborare una proposta organica per la ridefinizione entro il 31 ottobre 2020 del sistema delle esenzioni a partire dall’anno 2021 in materia di trasporto merci, navale e aereo, di agricoltura e usi civili” sia per ridurre la spesa pubblica che per sostenere innovazioni e investimenti in ricerca per arrivare ad una riduzione delle emissioni di gas serra entro il 2030.
Una doppia mazzata perché nel frattempo sono state incrementate le clausole di salvaguardia sulle accise inserite in manovra: se non saranno disinnescate, porteranno ad aumenti delle imposte sui carburanti da 1,221 miliardi nel 2021, 1,683 miliardi nel 2022 e 1,954 miliardi nel 2023. Sulla carta, in realtà, si tratta di un ragionamento corretto perché l’obiettivo finale è quello di ridurre le emissioni nocive per salvare il pianeta, il problema è sempre nell’approccio: prima di aumentare le tasse in maniera punitiva sarebbe più saggio – e utile – predisporre soluzioni alternative che per il momento non sono all’orizzonte.
Il gasolio, in particolare, vanta un’accisa inferiore del 23% rispetto alla benzina e secondo l’Ufficio valutazione dell’impatto del Senato “la maggior efficienza energetica del motore diesel rispetto al motore a benzina non giustifica di per sé questa differenza di trattamento. Essa, infatti, dipende dall’effettiva caratterizzazione del parco circolante auto a gasolio rispetto a quello a benzina” per questo “il mantenimento in Italia di un’accisa sul gasolio più bassa rispetto alla benzina non è giustificato sotto il profilo ambientale e rischia di provocare effetti distorsivi e indesiderati nella composizione del parco auto circolante, aumentando i costi esterni della mobilità passeggeri e favorendo il trasporto delle merci su strada rispetto alle modalità alternative più ecocompatibili”.
Il problema è che – per il momento – il governo non sembra avere alcuna intenzione di aumentare le accise per sostenere il traffico su rotaia: è consapevole, piuttosto, che oltre il 54% del parco auto circolante è diesel. E di conseguenza punta a fare cassa facendo anche bella figura, d’altra parte non c’è alcun dubbio sulla buona fede della senatrice Leu, ecologista convinta. Ma è altrettanto evidente che al netto della Tav tra Torino e Lione, non sono – al momento – in programma operazioni di rilievo per quanto riguarda lo sviluppo e l’ammodernamento della rete ferroviaria. E allo stesso modo non si vedono progetti ad ampio respiro per promuovere la mobilità sostenibile.
Giuliano Balestreri, Business Insider Italia