Per lavori stradali programmati sarà bloccato dalle 15 di lunedì prossimo, 2 dicembre, l’accesso principale all’aeroporto di Cagliari Elmas e ai parcheggi. Sino alla chiusura del cantiere, prevista per le prime ore di martedì 3 dicembre, è prevista la deviazione su una strada alternativa. Sul posto saranno presenti operatori – annuncia la Sogaer – per contenere i disagi. “Le temporanee limitazioni al traffico potrebbero comportare un aumento del tempo normalmente necessario per accedere all’aeroporto”, avverte la società di gestione dello scalo, raccomandando ai passeggeri di raggiungere l’aeroporto con congruo anticipo.
Dopo l’alluvione del ’66 da 1,94 cm, le acque alte dei cinquant’anni successivi, la costruzione del Mose, la mancata messa in funzione, lo scandalo delle tangenti e, da ultima, l’ondata di piena da 1,87 del 12 novembre di soli 7 cm inferiore al picco massimo di 53 anni fa, con centinaia di milioni di danni, Venezia è oggi alla sua prova più difficile. Quella del referendum di domenica primo dicembre che la mette di fronte al tentativo di sottrarla all’abbraccio della terraferma. In primis di Mestre e del suo hinterland, di cui fa parte anche Marghera, il glorioso polo industriale con il suo porto d’attracco delle navi merci e l’aeroporto. Se poi ci mettiamo anche le Grandi Navi e gli incidenti accaduti nel Canale della Giudecca, più l’invasione dei 30 milioni di turisti l’anno, il dado è tratto. I veneziani sono stufi e tra le calli soffia vento di separazione. Un referendum consultivo che vorrebbe però sancire la divisione amministrativa tra Venezia, con tutte le sue isole (91.370 abitanti in tutto) e Mestre, con tutto il suo entroterra (177.471 residenti, molti ex veneziani transfughi per più d’una ragione). Due comuni, due municipi, due sindaci distinti. La città lagunare va domenica al voto con la testa piena di pensieri e problemi: prima di tutto l’acqua alta e il moto ondoso; Mestre con meno ansie ma tante responsabilità. Anche su Venezia, se si dovesse distaccare. Un’operazione, la separazione, che rispetto ai tentativi precedenti oggi si presenta più suggestiva, facile, alla portata. Anche sull’onda dell’emozione che ha prodotto l’ultima emergenza, proprio perché laguna e terraferma si presentano come due realtà che hanno di fronte a sé problemi e problematiche opposte e che l’unione territoriale appiattisce e non è più in grado di risolvere. Meglio separati che uniti, dunque, è l’aria che tira.
In cinquant’anni di storia, quello di domenica primo dicembre è il quinto referendum che si svolge sul tema separazione. I primi tre, 1979, 1989 e 1994, sono stati bocciati dalla prevalenza schiacciante di “no” allo smembramento delle due realtà, il quarto – nel 2003 – è miseramente fallito per mancanza di voti e votanti, e non ha raggiunto il quorum. S’è di fatto votato al ritmo di una volta ogni otto anni. Questo referendum 2019 è quello più incerto. E il più divisivo. Lacerante. E ha rimescolato un po’ tutte le carte, come anche le radicate, ataviche e granitiche posizioni.
Il consiglio di amministrazione dell’Università di Catania ha accolto la richiesta, proveniente dalla Consulta degli studenti e da Fridays for Future Catania, di dichiarare lo stato di emergenza climatica e ambientale riconoscendo il grave stato di crisi sul piano del clima e dell’ambiente. Con tale provvedimento – ratificato proprio alla vigilia della conferenza annuale sul clima dell’Onu, la Cop 25 che si aprirà lunedì prossimo a Madrid, e del quarto sciopero globale del clima, che nella giornata di oggi mobilita migliaia di giovani in tutte le città – l’ateneo riconosce massima priorità al contrasto al riscaldamento globale e alla riconversione ecologica, verso un modello di sviluppo sostenibile che conduca all’abbandono definitivo della produzione e del consumo energetico fossile.
L’università catanese si impegna inoltre ufficialmente a favorire e promuovere incontri pubblici di informazione scientifica sul cambiamento climatico e sull’impatto devastante che fenomeni atmosferici estremi hanno sulla perdita di biodiversità, sulla produzione alimentare, sull’accesso alle risorse idriche, sulla salute pubblica e tramite i danni da alluvione e incendio.