(di Tiziano Rapanà) Era il 2013, mi pare. Mi ricordo il freddo natalizio che si respirava nei mercatini di fine anno. Tra le bancarelle avevo scorto un librino di Andrea G. Pinketts, Mi piace il bar. Prima di allora, di Pinketts avevo bene in mente la sua presenza fisica e mediatica in tv. Non conoscevo nulla della silhouette creativa e intellettuale dello scrittore, non era ancora nata la curiosità per la sua opera. Benedetta bancarella, perché scoprii un mondo fantastico fatto di un continuo amore per il ritmo, la rima e l’assonanza. Pinketts quest’amore lo chiamava il “senso della frase”. Entusiasta dopo anni lo contattai via email. Scrissi una cosetta stramba nello stile di Lazzaro Santandrea (il protagonista dei noir di Andrea). L’oggetto della mail non era male, “Mi piace il bar, anche se Brett Halliday non l’ho incontro mai”. Brett Halliday era il padre, o uno dei padri, dell’hard boiled (è un sottogenere poliziesco molto in voga negli anni ’40 e ’50). Il suo eroe di carta era Mike Shayne, un investigatore privato rosso malpelo, noto per risolvere i casi con piglio rude. Da noi sono usciti pochi romanzi, quasi tutti pubblicati dalla Garzanti. Andrea mi rispose dopo un mese: “Ciao Tiziano, scusa il ritardo nella risposta, come avrai capito io non sono tecnologico né rosso come il nostro detective. Telefonami in nero dopo le due del pomeriggio”. Pinketts non aveva un pc né uno smartphone (se non sbaglio utilizzava un cellulare vecchio modello). Delle sue faccende informatiche se ne occupava Elisabetta Friggi, direttrice di G. A. Z. magazine. Lo chiamai. Non siamo stati amici, non l’ho mai visto di persona. Colpa mia e dei miei maledetti impegni: Andrea, in più di un’occasione, mi aveva invitato a Milano a trovarlo al Bar Le Trottoir (dove aveva il suo ufficio) o al BALUBA, dove si era inventato una rassegna letteraria GIGI giovedì giallo: ogni giovedì, Andrea presentava un giovane autore emergente. Con Andrea ci siamo parlati al telefono 6-7 volte. Le telefonate erano brevi e tutte incentrate su piccole futilità del quotidiano. Una volta mi chiamò a mezzanotte per ringraziarmi di una cosa che feci sul sito Il Decoder. Era di una gentilezza e simpatia estrema. La mia non è soltanto un’intuizione “telefonica”: ne ho avuto la conferma dai tanti ricordi che ho letto sul web di amici e persone che l’hanno conosciuto bene. Se n’è andato presto, non aveva nemmeno 60 anni. Intervistai Pinketts, una sola volta: volevo un suo ricordo di Severino Cesari, il geniale inventore della collana Einaudi Stile Libero. Fu gentilissimo, anche in quell’occasione. Per una macabra ironia della sorte, un anno dopo morì lui. Negli ultimi mesi, che videro Andrea affrontare con coraggio un’insidiosissima malattia non lo chiamai, per pudore. Che gli potevo dire? Come stai? Se uno ha un tumore che vuoi che ti dica, che sta bene? Non eravamo in confidenza, non c’eravamo mai visti. Così mi limitai a monitorare il suo stato di salute che traspariva dai video presenti sul suo canale Youtube. Si intuiva il calvario di un corpo sempre più smagrito e indebolito. Gli amici non l’hanno dimenticato e si fanno in quattro per ricordarlo e celebrarlo. Elisabetta Friggi è sempre in prima linea, nelle iniziative che omaggiano Andrea. Qualche mese fa, per Mondadori, è uscito il libro postumo E dopo tanta notte strizzami le occhiaie. Non mi è piaciuto, o perlomeno non tutto. Il libro raccoglie racconti e raccontini scritti negli ultimi anni. Alcuni sono notevoli, altri no. Bellissimi i disegni di Alexia Solazzo, che ha ben descritto le atmosfere macabre dei racconti.