Lavorare da casa fa bene, anche al portafogli. Tra i molteplici benefici dello smartworking, infatti, ci sarebbe anche una busta paga più pesante, almeno per i lavoratori statunitensi. Lo rivela l’ultimo rapporto del Census Bureau Usa, secondo cui nel 2018 per la prima volta le persone che si spostano con i mezzi pubblici per andare al lavoro hanno guadagnato di più di coloro che usano l’auto. Ma la maglia rosa spetta a chi lavora da casa: sono questi, secondo l’ufficio statistico i lavoratori che hanno percepito la migliore retribuzione mediana negli ultimi 12 mesi, con un guadagno di circa 42.400 dollari.
I dati, come osserva Bloomberg, riflettono una serie di tendenze recenti del mercato del lavoro negli Usa. Per chi si sposta con il trasporto pubblico i migliori guadagni derivano dal fatto che i mezzi di trasporto si trovano nelle principali città: il 63% dei lavoratori che raggiungono l’ufficio in bus, tram o metropolitana abita infatti nelle aree metropolitane di New York, Chicago, Washington, San Francisco e Boston, dove gli stipendi sono i più alti dell’intera nazione. Per chi lavora da casa, invece, il discorso è diverso. Questi lavoratori sono infatti distribuiti su tutto il territorio nazionale, e i loro maggiori guadagni derivano dal fatto che svolgono lavori molto ben pagati, con incarichi dirigenziali o legati alle tecnologie più avanzate. E peraltro la tendenza si è invertita di recente: nel 2011 gli home workers guadagnavano l’11% in meno rispetto a chi raggiungeva il posto di lavoro in auto, mentre lo scorso anno hanno realizzato il 5% in più.
Nello stesso periodo di tempo il numero dei lavoratori da remoto è aumentato da 5,9 milioni a 8,3 milioni, per una percentuale pari al 5,3% (contro il 4,3%) della forza lavoro statunitense. Una crescita iniziata nei primi anni Duemila, quando la diffusione delle connessioni a banda larga ha reso possibili nuove tipologie di lavoro da casa. Un altro dato rilevante è il fatto che la percentuale degli smart workers è più elevata nelle fasce di reddito più alta e più bassa (chi guadagna oltre 75mila dollari all’anno e chi non arriva a 15mila). Questo vuol dire, secondo Bloomberg, che nella fascia inferiore si trovano le persone che arrotondano con qualche lavoretto da casa, mentre tra chi percepisce i redditi più alti – e possiede i migliori titoli di studio – lo smartworking è una scelta, sempre più diffusa. Una possibilità che invece viene spesso negata ai ceti intermedi, la cosiddetta working class.
I dati della American Community Survey considerano solo gli spostamenti effettuati in una certa settimana dell’anno, quella relativa alla rilevazione, ma sono indicativi di un trend evidente. Già due anni fa un sondaggio di Gallup aveva rivelato che nel 2016 il 43% degli americani – contro il 39% del 2012 – aveva lavorato da remoto almeno occasionalmente, sottolineando come il lavoro da casa fosse sempre più popolare e diffuso in diversi settori, in particolare finanza, assicurazioni e real estate. Gallup rimarcava inoltre come sempre più lavoratori ambissero a svolgere i loro compiti da remoto, mentre dall’altra parte manager e capi azienda avevano espresso forti perplessità sulle conseguenze dello smartworking sulle performance individuali e del team, con aziende del calibro di Yahoo!, Ibm e Bank of America che avevano ridotto o eliminato la possibilità di lavorare da remoto per i loro dipendenti.
E in Europa? Nel Vecchio Continente la percentuale di lavoratori che svolgono i loro compiti abitualmente da casa è simile a quella degli Stati Uniti: è infatti pari al 5%, secondo i dati di Eurostat relativi al 2017, con molte differenze tra i singoli Stati.
Tra le nazioni in cui lo smartworking è più diffuso ci sono i Paesi Bassi (13,7%), seguiti da Lussemburgo (12,7%) e Finlandia (12,3%) mentre i fanalini di coda sono le nazioni dell’ex blocco sovietico come Bulgaria (dove due anni fa lavorava da remoto appena lo 0,3% della popolazione tra 15 e 64 anni) e Romania (0,4%). L’Italia si posiziona nella parte bassa della classifica, appaiata alla Slovacchia e dietro Malta e Repubblica Ceca, con una percentuale di poco inferiore al 4%.
Anche in Europa la percentuale di chi lavora occasionalmente da casa è cresciuta sensibilmente nel corso del tempo, dal 7,7% del 2008 al 9,6% del 2017. In ogni caso, questa modalità riguarda soprattutto i liberi professionisti (la sceglie il 18,1% del totale), mentre per i dipendenti la quota è appena del 2,8%.
Diversi studi hanno dimostrato nel corso del tempo i benefici dello smartworking sulla qualità della vita dei lavoratori, e persino sulle performance: come quello dell’università di Stanford, che cita l’esperimento condotto tra i dipendenti del call center di Ctrip, agenzia viaggi cinese da 16mila dipendenti quotata al Nasdaq. In nove mesi questi lavoratori sono stati spostati random dal lavoro da remoto all’ufficio e viceversa, ed è emerso che dove era stato adottato lo smartworking le performance avevano registrato un miglioramento del 13%.
Tuttavia, la diffusione del lavoro da remoto apre una serie di interrogativi: come cambieranno, ad esempio, le città se non potranno più ricoprire il ruolo di accentratori di persone che si spostano per lavorare? Domande a cui non si è ancora trovata una risposta univoca.
Chiara Merico, Business Insider Italia