Il caso concreto. Nel caso in questione due condomini avevano citato dinanzi al tribunale gli altri abitanti dell’edificio condominiale deducendo di rappresentare oltre un terzo dei comproprietari, come previsto dall’articolo 61 delle disposizioni di attuazione del codice civile, e, ritenendo iniqua e inutilmente complessa l’attuale consistenza condominiale, la quale imponeva loro la partecipazione a spese per la gestione di spazi e servizi dei quali non traevano alcuna utilità, avevano chiesto, attesa l’autonomia strutturale dei vari corpi di fabbrica presenti nel condominio, che ne fosse disposto lo scioglimento e la sua scomposizione in cinque unità autonome. Si erano costituiti in giudizio soltanto una parte dei condomini convenuti, mentre gli altri erano rimasti contumaci. Il tribunale, disposta una consulenza tecnica d’ufficio, aveva rigettato la domanda di scioglimento del condominio. La sentenza era stata quindi appellata davanti al giudice di secondo grado, il quale si era a propria volta pronunciato contro i condomini che avevano chiesto lo scioglimento del condominio. Il giudice d’appello aveva infatti osservato che, a fronte delle quattro possibili parti individuate dal consulente tecnico d’ufficio nelle quali condominio attuale avrebbe potuto essere ripartito, gli attori soddisfacevano il quorum richiesto dall’art. 61 disp. att. c.c. solo in relazione all’ipotetico condominio numero uno, in quanto relativamente all’ipotetico condominio numero tre l’appartamento dell’attrice, avente accesso da tale condominio, in realtà si sviluppava in proiezione verticale nella parte del fabbricato che avrebbe rappresentato l’ipotetico condominio numero quattro, non potendo quindi essere presa in considerazione ai fini del predetto quorum. In relazione alla decisione di rigettare la domanda di scioglimento, il giudice di appello aveva evidenziato che dal supplemento della consulenza tecnica d’ufficio era emerso che dalla separazione del corpo di fabbrica sarebbe derivato che ben otto unità immobiliari dell’ipotetico condominio numero uno sarebbero venute a ricadere in due distinti condomini, con una evidente situazione di interferenze e sovrapposizioni, che precludevano l’ipotizzabilità di essere al cospetto di edifici autonomi. Né tale inconveniente avrebbe potuto essere superato adducendo la possibilità di predisporre adeguate tabelle millesimali, che non avrebbero mai potuto ovviare alla carenza di autonomia strutturale. Contro questa decisione i condomini che pretendevano lo scioglimento avevano presentato ricorso in Cassazione.
La decisione della Suprema corte. L’art. 61 disp. att. c.c. stabilisce che qualora un edificio o un gruppo di edifici appartenente per piani o porzioni di piano a proprietari diversi si possa dividere in parti che abbiano le caratteristiche di edifici autonomi, il condominio può essere sciolto e i comproprietari di ciascuna parte possono costituirsi in condominio separato. Lo scioglimento del condominio, come precisato dal secondo comma della disposizione in questione, può essere deliberato dall’assemblea con la maggioranza di cui al secondo comma dell’art. 1136 c.c. (maggioranza dei presenti che rappresenti almeno la metà del valore dell’edificio) oppure può essere disposto dall’autorità giudiziaria su domanda di almeno un terzo dei comproprietari di quella parte dell’edificio di cui si chiede la separazione. Il successivo art. 62 delle disposizioni di attuazione prevede poi che non osti allo scioglimento del condominio la circostanza che dopo la divisione rimangano delle parti comuni tra gli originari partecipanti al condominio alcuni dei beni o dei servizi di cui all’art. 1117 c.c. È infine previsto che qualora la divisione non possa attuarsi senza modificare lo stato delle cose e occorrano opere la sistemazione diversa dei locali o delle dipendenze tra i condomini, lo scioglimento del condominio deve essere deliberato dall’assemblea con la maggioranza prescritta dal quinto comma dell’art. 1136 c.c. (maggioranza dei presenti che rappresenti almeno i due terzi dei millesimi). Nella sentenza dello scorso 3 settembre la Corte di cassazione ha evidenziato come la costante giurisprudenza di legittimità, già a far data dalla sentenza n. 1964/63, abbia affermato che, a norma degli artt. 61 e 62 disp. att. c.c., lo scioglimento del condominio di un edificio intanto può dare luogo alla costituzione di condomini separati in quanto l’immobile o gli immobili oggetto del condominio originario possano dividersi in parti che abbiano le caratteristiche di edifici autonomi, quand’anche restino in comune con gli originari partecipanti alcuni dei beni indicati dall’art. 1117 c.c. Il tenore della norma, riferito all’espressione edifici autonomi, esclude di per sé che il risultato della separazione possa concretarsi in un’autonomia meramente amministrativa, giacché, più che a un concetto di gestione, il termine edificio va riferito a una costruzione, la quale, per dare luogo alla costituzione di più condomini, deve essere suscettibile di divisione in parti distinte, aventi ciascuna una propria autonomia strutturale, indipendentemente dalle semplici esigenze di carattere amministrativo. La sola estensione di detto principio che può considerarsi ammissibile in via interpretativa, secondo la Suprema corte, è quella prevista dal medesimo art. 62 disp. att. c.c., il quale chiarisce che l’istituzione di nuovi condomini non è impedita dalla permanenza in comune dei beni o dei servizi indicati dal predetto art. 1117 c.c., la cui disciplina d’uso potrà formare oggetto di particolare regolamentazione riferita alle spese e agli oneri relativi. Al di fuori di tali interferenze di carattere amministrativo, previste dalla legge, se la separazione del complesso immobiliare non può attuarsi se non mediante interferenze ben più gravi, interessanti la sfera giuridica propria di altri condomini, alla cui proprietà dovrebbero imporsi limitazioni, servitù o altri oneri di carattere reale, è da escludere in tale ipotesi che l’edificio scorporando possa avere una propria autonomia strutturale, pur essendo eventualmente autonoma la funzionalità di esso, riferita alla sua destinazione e gestione amministrativa. La seconda sezione civile della Cassazione ha evidenziato come si tratti di principi condivisibili e che sono stati ripresi anche dalla più recente giurisprudenza di legittimità (si veda la sentenza n. 27507/2011), che ha ribadito come l’autorità giudiziaria possa disporre lo scioglimento di un condominio solo quando il complesso immobiliare sia suscettibile di divisione senza che si debba attuare una diversa ristrutturazione in parti distinte, aventi una propria autonomia strutturale, mentre laddove la divisione non sia possibile senza previa modifica dello stato dei beni e dei servizi mediante ristrutturazione, lo scioglimento e la costituzione di più condomini separati possono essere approvati soltanto dall’assemblea, con un numero di voti che sia espressione del valore dei due terzi dell’edificio e rappresenti la maggioranza dei partecipanti al condominio (si vedano anche le sentenze n. 21686/2014 e n. 16385/2018). Resta preclusa la possibilità di attuare la separazione in caso di interferenze gravi, interessanti la sfera giuridica propria di altri condomini, alla cui proprietà verrebbero a imporsi limitazioni, servitù o altri oneri di carattere reale, in quanto ciò porta a escludere che edificio scorporando possa avere una propria autonomia strutturale, pur essendo eventualmente autonoma la funzionalità di esso riferita alla sua destinazione gestione amministrativa.
Gianfranco Di Rago, ItaliaOggi