Tra imbarco prioritario e bagaglio in stiva, scelta del posto e caffè a bordo, noleggio dell’auto e pacchetti turistici nel 2018 il passeggero europeo ha speso in media 17,35 euro di extra oltre alla semplice biglietto per il volo. È questo uno dei dati dell’analisi del Corriere sul voluminoso rapporto annuale sui ricavi ancillari delle compagnie aeree a cura di Jay Sorensen ed Eric Lucas per conto di IdeaWorks e CarTrawler. Nel 2018, scrive lo studio, questo «tesoretto» aggiuntivo ha toccato il record di 47,66 miliardi di euro, poco meno del Prodotto interno lordo della Slovenia. Il numero è stato ottenuto dai bilanci ufficiali e dalle stime degli autori su 77 vettori. Si tratta, incrociando il tutto con i database Flightglobal e Iata, di un campione che rappresenta l’11% delle aviolinee totali, ma che assieme hanno trasportato oltre il 66% del traffico complessivo (2,9 miliardi su un totale di 4,38).
Il record negli Usa
I ricavi ancillari sono il fronte di battaglia di tutte le compagnie da qualche anno. Rendendo a pagamento quello che un tempo era incluso nel biglietto — come il bagaglio in stiva o la scelta del posto — e aggiungendo altre voci come la prenotazione dell’albergo o dell’auto, dell’assicurazione viaggio o dei biglietti per i parchi divertimenti i vettori possono permettersi di offrire tariffe stracciate, così da non soccombere nel confronto con i rivali. Ma allo stesso tempo incrementano i ricavi. E così, tra un acquisto e un altro, l’anno passato i viaggiatori hanno speso in media 16,45 euro di extra a livello mondiale. Con il record in territorio americano (meglio: nordamericano) dove l’esborso è stato di 24,45 euro grazie soprattutto allo stretto rapporto con le carte di credito, oltre sette euro più degli europei, mentre in Medio Oriente e Africa il modello di business non è ancora decollato del tutto (5,13 euro a testa). L’Asia-Pacifico migliora (6,23 euro), ma a trainare la macro-area sono le australiane Qantas e Virgin.
La classifica delle compagnie
Nel complesso American Airlines ha chiuso il 2018 con il record di 6,2 miliardi di euro di ricavi ancillari. Molto più di United Airlines (4,96 miliardi) e Delta Air Lines (4,76 miliardi). Ryanair — al quarto posto nel mondo — è la prima compagnia europea con 2,4 miliardi di extra, superando il gruppo Lufthansa (2,25 miliardi). Non sono disponibili i dati delle italiane Alitalia (dove una stima parla di un centinaio di milioni di euro, cioè 4,65 euro pro capite) e Air Italy. Se, però, si va a vedere l’incidenza sui guadagni complessivi ecco che trionfano le low cost: la messicana Viva Aerobus con il 47,6%, le statunitensi Spirit (44,9%), Frontier (42,8%) e Allegiant (41,2%), l’ungherese Wizz Air (41,1%).
Il primato delle low cost
La low cost americana Spirit è anche quella che riesce a estrarre più soldi dal portafoglio dei clienti, in media 43,6 euro. Mentre a livello europeo stravince Jet2.com (molto concentrata sul trasporto vacanziero) con 37,6 euro. A distanza di dieci euro c’è Wizz Air, grazie anche al cambio delle regole sul bagaglio a mano. Spicca al terzo posto a livello europeo con 24,5 euro Aer Lingus (nella holding di British Airways, Iberia, Vueling e Level) che negli ultimi due anni è transitata verso un modello «ibrido» tradizionale-low cost. Ryanair in media riesce a ricavare da ogni cliente altri 17,2 euro, mentre easyJet non va oltre i 16.
Come cambiano gli extra
Se gli extra sono in aumento — e per alcune compagnie rappresentano come si vede quasi la metà delle entrate complessive —, nel 2018 agli esperti non è sfuggito un primo cambio di rotta. I ricavi ancillari sembrano aver raggiunto il livello di saturazione in quanto a creatività e per questo si avviano a una seconda fase, più matura e più insidiosa per il viaggiatore: non più nuove voci per «tormentare» al momento dell’acquisto, ma le stesse opzioni con diverse fasce di prezzo, tenendo conto di quanto la rotta è affollata, di quanto il velivolo si riempie velocemente, della distanza della tratta e del tempo in cui si vola. E così per lo stesso extra si sborsa meno nei periodi di «magra» per il settore (come novembre e febbraio), si paga il massimo d’estate e durante le festività. Si chiama «dynamic pricing» e proprio su questo stanno lavorando in diversi uffici, in particolare le low cost.
Leonard Berberi, Corriere.it