Elegante e suadente nella forma, appuntita e feroce come una stilettata nella sostanza. E’ la lunga lettera con cui il fondo Elliott Management ha annunciato lunedì 9 settembre al board di At&t di avere acquistato azioni per 3,2 miliardi di dollari, equivalenti a una quota dell’1,2% del colosso Usa delle telecomunicazioni e dei media. In sostanza la lettera dice che negli ultimi 10 anni At&t è stata gestita con strategie sbagliate, o perlomeno confuse, e con inadeguata capacità operativa. Il risultato è un andamento del titolo in Borsa drammaticamente deludente. Al tempo stesso, scrive Elliott, la società ha un enorme potenziale inespresso e con una diversa gestione l’azione At&t potrà mettere a segno nei prossimi due anni (entro il 2021) uno dei più straordinari rialzi arrivando a valere almeno 60 dollari, rispetto agli attuali 36 dollari, con una rivalutazione del 65%.
La nuova mossa del famoso fondo attivista è clamorosa. Non solo per le dimensioni dell’investimento, il più consistente mai fatto da Elliott Management in una singola azienda, ma anche per la scelta della società target: At&t è la prima società americana di telecomunicazioni, è un nome storico dell’industria a stelle e strisce, e da due anni ha concluso l’acquisizione del colosso dei media Time Warner, la società che controlla, fra le altre attività, la Cnn.
Non è un caso che il presidente Donald Trump, normalmente trattato dalla Cnn con il dovuto senso critico che la professione giornalistica esige, si sia subito scatenato su Twitter per salutare con entusiasmo la notizia: “Mi auguro che i nuovi azionisti di At&t metteranno uno stop alla diffusione di fake news da parte degli anchor di Cnn”. E il tweet di Trump prosegue con: “Cnn perde credibilità e perde soldi, e soprattutto Cnn is bad for the Usa”.
Trump sa di poter fare leva sui sentimenti notoriamente conservatori di Paul Singer, il 72enne fondatore, azionista e manager di Elliott, il quale però non ha in mente la Cnn come obiettivo della sua iniziativa, ma quello di fare soldi, attività nella quale senza dubbio eccelle. Conosciuto in Italia perché ha acquistato una quota del 9,4% di Tim e da un anno è proprietario del Milan, Elliott gestisce fondi per 38 miliardi di dollari raccolti da investitori privati e istituzionali. La sua specializzazione sono le società che operano nelle telecomunicazioni e nei media, attività che negli ultimi 20 anni hanno marciato a braccetto con frequenti aggregazioni che hanno reso più labili i confini fra i due settori.
La più importante operazione in questo senso è stata due anni fa l’acquisizione di Time Warner da parte di At&t, un’operazione da 85 miliardi di dollari che Elliott ha messo nel mirino: “600 giorni dopo avere concluso l’acquisizione ancora non si capisce perché At&t debba possedere Time Warner”, si legge nella lettera.
Normalmente quando i fondi attivisti partono all’attacco di una società, comprano importanti pacchetti azionari e poi chiedono l’ingresso i loro uomini nel board per migliorare le strategie e l’operatività. Non ha fatto così questa volta Paul Singer. La lettera non contiene richieste immediate, ma fa una lunga e dettagliata analisi del perché negli ultimi 10 anni i risultati economici e di Borsa di At& sono stati così deludenti. Le critiche al Ceo e presidente Randall Stephenson sono più oblique che dirette, ma indiscrezioni raccolte da Cnbc dicono che uno degli obiettivi di Singer è proprio quello di fare saltare la poltrona di Stephenson.
Per quanto riguarda l’andamento in Borsa Elliott punta il dito sul parametro del Total return, quello che tiene conto di quanto hanno guadagnato gli azionisti fra l’andamento del titolo e i dividendi: ebbene, negli ultimi 10 anni la sottoperformance di At&t rispetto all’indice S&P500 è di oltre 100 punti percentuali. Non a caso, ricorda gelida la lettera di Elliott, nel 2015 At&t è stata buttata fuori dal prestigioso indice Dow Jones, quello che raggruppa le 30 principali società industriali Usa, di cui faceva parte ininterrottamente dal 1939.
Quanto ai risultati economici del gruppo, l’Ebitda del 2018 e le stime per il 2019 sono più bassi all’Ebitda del 2016, nonostante in questi anni il gruppo abbia fatto acquisizioni per 110 miliardi di dollari. Per ben cinque volte negli ultimi otto trimestri i risultati di At&t sono stati inferiori alle attese.
Le critiche verso At&t sono condivise da molti investitori, come mostra la reazione di Wall Street: lunedì, dopo un iniziale balzo del 9%, il rialzo di At&t si è ridimensionato in chiusura a un guadagno dell’1,4%. Martedì la corsa prosegue con un rialzo del 2,1%. Dice Jonathan Chaplin, analista di New Street Research: “Per anni abbiamo visto forti potenziali in At&t, ma ora siamo disperati per questo management”. Bank of America nell’aprile 2019 scriveva: “Potremmo valutare di uscire definitivamente da At&t perché non crediamo che ci sia in At&t l’abilità di gestire i disparati business in cui si articola oggi il gruppo”.
E’ proprio questa la principale critica di Elliott: quando ormai stava passando la moda di mettere insieme tlc e media, il Ceo Stephenson ha lanciato il gruppo nella mega acquisizione di Time Warner, pagandola a livelli di picco delle valutazioni del settore. Invece di rafforzarsi dove già era forte, At&t negli ultimi 10 anni ha speso quasi 200 miliardi di dollari per acquisizioni in business diversi, creando una conglomerata presente in vari business, in ognuno dei quali deve fronteggiare forti concorrenti. La critica si estende anche all’acquisizione di DirectTv, il primo operatore di pay tv in Usa, comprata nel 2014 per 67 miliardi di dollari.
Nel frattempo gli altri operatori di tlc si sono rafforzati: Verizon e T-Mobile hanno concentrato gli investimenti nel 4G e nella tecnologia LTE migliorando il servizio e aumentando le quote di mercato (Verizon ha aumentato di 20 miliardi i ricavi da wireless), a scapito, ovviamente della quota di mercato di At&t.
Dice l’analista Jonathan Chaplin: “Io dividerei il gruppo nei suoi tre business: telefonia wireless, pay tv e contenuti media. Non vedo quali sinergie ci siano fra queste attività”.
Ed è esattamente questo quello che propone Elliott al board: un piano in cinque punti che parte dalla necessità di definire il “focus strategico”, ovvero mettere ordine in casa e definire quali business sono strategici e quali vanno invece venduti. Al secondo posto c’è il miglioramento dell’efficienza operativa con la richiesta di tagliare i costi di 5 miliardi di dollari all’anno. Altre richieste riguardano definire un quadro chiaro di allocazione dei capitali e migliorare la leadership, un termine sfumato che quasi tutti gli analisti leggono come “ricambio al vertice”.
Per Elliott quella che si presenta è un’occasione storica: di fronte alla rivoluzione del 5G, At&t ha le carte per giocare da protagonista vincente la sfida della nuova tecnologia, “ma servono forti investimenti e capacità operativa”. E al board scrive: “Vediamo insieme quali sono le strade per migliorare il business e realizzare uno storico incremento di valore”.
Franco Velcich, Business Insider italia