L’acutizzarsi delle tensioni commerciali fa male alle due potenze, ostacolando la crescita economica globale: secondo i calcoli di Oxford Economics, gli americani saranno chiamati a sopportare un costo di 62 miliardi di euro. E anche l’amministratore delegato Tim Cook dovrà presto pagare pegno, essendo presente da entrambe le parti della barricata.
Infatti, dopo il fallimento dell’ultimo round di negoziati la scorsa settimana a Washington, il presidente degli Stati Uniti ha fatto partire l’incremento dei dazi dal 10 al 25 per cento su 200 miliardi di dollari di importazioni cinesi. Nella lista dei prodotti sono inclusi anche i cellulari, e quindi gli iPhone che Apple produce in Cina ed esporta poi negli Stati Uniti. A cui si aggiungono tablet, laptop, smartwatch. Molti di questi device, soprattutto quelli di fascia alta, sono cari: nonostante la loro popolarità, potrebbe venire meno la tentazione di acquistarne uno se il colosso tech californiano decidesse di scaricare i costi dei dazi sui consumatori aumentando il prezzo di vendita. Da qui un dilemma che sembra senza via d’uscita: perdere clienti o sopportare le tariffe? In entrambi i casi, i profitti potrebbero subire una battuta d’arresto.
Una situazione problematica, che preoccupa visto la diminuzione delle vendite di dispositivi. Nel secondo trimestre fiscale (i primi tre mesi del 2019 terminati il 30 marzo), Apple ha fatturato 58 miliardi di dollari, il 5 per cento in meno rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Più in particolare, come si legge nel documento della società, se da un lato crescono le vendite di servizi, che balzano dai 9,8 miliardi del gennaio-marzo 2018 agli 11,4 miliardi dei primi tre anni del 2019; dall’altro, calano i ricavi derivanti dai prodotti, che passano a 46,5 miliardi (rispetto ai 51,2 dello stesso intervallo temporale nel 2018). Gli iPhone registrano un grande tonfo: le vendite erano pari a 37,6 miliardi tra gennaio e marzo del 2018; questo trimestre si è invece chiuso a 31 miliardi.
La prosecuzione della guerra commerciale potrebbe ferire ancora di più: “Visto che la maggior parte dei prodotti hardware di Apple, come iPhone, iPad, smartwatch e Mac sono assemblati in Cina e da lì importati, il rischio per i guadagni è considerevole”, sottolinea in una nota Krish Sankar, un analista di Cowen Inc.
Ma il colpo basso per la Mela morsicata potrebbe essere doppio. La decisione dell’inquilino della Casa Bianca ha innescato la rapida reazione della controparte cinese: le autorità di Pechino hanno annunciato lunedì il piano di aumentare i dazi imposti sulle importazioni Usa al 25 per cento, che irrimediabilmente andranno a colpire le componenti che la Cina importa dagli Stati Uniti per assemblare iPad e iPhone, diventando così più costose. Possiamo provare a fare un esempio, per comprendere meglio il punto. Gli analisti canadesi di TechInsights avevano stimato che 453 dollari è il costo di assemblaggio (considerando anche i materiali) di un iPhone Xs Max con una memoria da 256 GB (prezzo di vendita 1.249 dollari). Una tassa del 25 per cento sui componenti equivale quindi a 113 dollari, che aumenta il prezzo d’acquisto del dispositivo del 9 per cento.
Nel complesso quindi, il prodotto sarebbe sottoposto a una duplice tassazione, il prezzo salirebbe e non è detto che i consumatori siano disposti a spendere tanto per un cellulare, visto che già ora gli smartphone più nuovi costano parecchio, dai 750 ai 1.450 dollari. Un effetto negativo che potrebbe condizionare nel lungo termine anche i servizi e i prodotti legati agli iPhone.
L’anno scorso Tim Cook si era speso molto per spiegare il punto di vista dell’azienda al presidente degli Stati Uniti. E se all’inizio l’amministrazione repubblicana aveva garantito che le tariffe non avrebbero colpito Apple, nel corso del tempo la situazione è poi mutata. Secondo i vertici di Cupertino, la politica commerciale di Trump ha già condizionato negativamente la domanda dei consumatori in Cina. L’escalation del conflitto potrebbe assestare un altro brutto colpo.
Marco Cimminella, Business Insider Italia