Criptovalute incasellate nel bilancio. Come attività immateriali o nelle rimanenze ma non come valuta o strumento finanziario. È questo uno degli spunti che arriva da uno studio della Banca di Italia del 19 marzo 2019 dal titolo «Aspetti economici e regolamentari delle cripto-attività». Il documento fa il punto sugli aspetti economici delle cripto-attività. Un primo paletto è posto sull’uso delle stesse come strumenti finanziari. La risposta è negativa «non tanto per la loro elevata volatilità» si legge nel documento, «quanto per l’assenza di valore intrinseco, l’indeterminatezza del loro prezzo e la non controllabilità da parte del regolatore». Un altro rilievo è quello legato alla trasparenza. Lo studio evidenzia che nella maggior parte delle giurisdizioni, alle operazioni in cripto-attività non si applicano presidi specifici di trasparenza. «Non vige alcuna forma di tutela o garanzia delle somme gestite o ”depositate” presso soggetti specializzati (exchanges e wallet providers); sulle transazioni non è esercitato alcun controllo prudenziale». Lo studio dunque mette in evidenza che la mancanza di un quadro regolamentare ben definito, espone gli utilizzatori a una serie di rischi, tra cui, perdita permanente dei gettoni digitali a causa di malfunzionamenti, attacchi informatici, smarrimento delle password (o chiavi private), rilevanti diminuzioni di valore a causa della elevata volatilità del prezzo. Altro rilievo è quello legato ai rischi in materia di antiriciclaggio: «In molte giurisdizioni», scrivono gli esperti di Banca di Italia, «i soggetti che offrono servizi connessi con le ”cripto-attività” sono registrati e presidiati per i profili antiriciclaggio e finanziamento del terrorismo (Anti money laundering – Aml/Counter terrorist financing – Cft)», ricordando che le recenti modifiche alla direttiva europea 2015/849 si muovono in tal senso. «L’uso di exchanges decentrati», si legge nello studio, «rende tuttavia difficile l’individuazione del titolare effettivo delle ”valute virtuali” e, più in generale, permette forme di elusione non facilmente controllabili». Venendo al punto della gestione nei bilanci delle criptovalute lo studio evidenzia che l’analisi contabile esclude la possibilità di considerare, sulla base dei principi contabili internazionali Ias/Ifrs, le cripto-attività tipo bitcoin, una valuta o uno strumento finanziario. La normativa esistente sembra lasciare spazio all’uso dei due categorie contabili. La prima sarebbe «attività immateriale», definita come attività senza sostanza fisica, identificabile (separabile, quindi trasferibile), non-monetaria (senza un diritto a ricevere, o un obbligo a pagare, un importo fisso o determinabile in unità in valuta). La seconda possibilità sarebbe la categoria «rimanenza», in quanto essa include anche le commodity intangibili. «Lo Iasb», sottolineano da Bankitalia, «ha deciso di consultare sul tema l’Ifrs – Interpretation committee, unico organismo con il compito di fornire interpretazioni autentiche degli Ias/Ifrs». Nello studio si affronta poi un’analisi del mercato delle criptovalute evidenziando che l’utilizzo è ancora molto modesto. Secondo gli ultimi dati disponibili nel 2017 negli Usa solo lo 0,3% dei commercianti al dettaglio accettavano bitcoin e solo quattro delle principali piattaforme di e-commerce lo riconoscevano come strumento di pagamento. Ulteriore aspetto da tenere in considerazione è quello ambientale: una caratteristica peculiare del bitcoin è l’uso esorbitante di energia elettrica per generarli.
Cristina Bertelli, ItaliaOggi