L’ostacolo, la pietra dello scandalo, rimane sempre lui, il ministro Giovanni Tria. Intorno al ministero dell’Economia e delle Finanze si combatte una battaglia non solo tra Lega e 5 Stelle, ma anche interna al Movimento. Con Luigi Di Maio che prova, con la sponda di Palazzo Chigi, a intestarsi una vittoria sulla vicenda dei truffati delle banche. Il capo politico dei 5 Stelle freme, ha fretta di mostrare al suo elettorato e ai gruppi parlamentari che sa tenere testa al vicepremier leghista. Infastidito dai traccheggiamenti del ministero del Tesoro, che a suo dire fanno il gioco di Matteo Salvini, Di Maio ha affrontato a brutto muso Tria: «Ora basta, così ci fai perdere le Europee». E ha messo in cantiere, per dopo le elezioni, una sostituzione dell’ingombrante professore. Con una novità: viste le tensioni e le continue richieste leghiste per riequilibrare con un «rimpastone» l’assetto di governo (destinate ad aumentare dopo il voto), Di Maio sarebbe pronto a concedere il Mef alla Lega. Un modo per evitare di concedere altri ministeri a 5 Stelle, come le Infrastrutture o lo stesso Sviluppo economico.
Villarosa nel mirino
Nel frattempo, girano veleni anche nel Movimento. Nel mirino c’è Alessio Villarosa, il sottosegretario accusato in questi giorni di avere scritto male il testo sui truffati delle banche e di avere seguito una linea a rischio ricorsi dall’Europa. Anche per questo Tria avrebbe preso tempo sui decreti. Ma anche ai piani alti del Movimento c’è tensione, tanto che è stata chiamata Laura Castelli a trovare una mediazione. Tria ha passato la palla e oggi in Consiglio dei ministri arriveranno due testi: uno frutto della mediazione europea, con una corsia preferenziale per i risparmiatori economicamente più fragili, l’altro, voluto da Villarosa, che sottopone al giudizio di una commissione tutta la platea. Un rischio, temono i 5 Stelle: «Finirà che non riusciremo a dare un euro a nessuno prima delle Europee». Tria se ne lava le mani: «È una decisione politica, tocca a loro. Fanno a gara a intestarsi il decreto? Io su questo faccio un passo indietro». Anche per questo Giuseppe Conte ha preso in mano il dossier.
Il caso Bugno
Tria è in difficoltà anche per il caso della consigliera del Mef Claudia Bugno, dopo che era emerso che il figliastro del ministro è stato assunto in un’azienda il cui amministratore delegato è il suo compagno. Il ministro avrebbe ammesso con qualche amico: «Forse le ho dato troppi poteri, ma serviva una persona che avesse una grande esperienza sulle partecipate. Purtroppo lei ha un carattere forte, ed è andata allo scontro». I 5 Stelle non hanno vinto, nella battaglia per cacciarla. Perché la Bugno è rimasta al suo posto. Ma hanno ottenuto che ritiri la sua candidatura a far parte del board della controllata StMicroelectronics e non si occupi di alcuni dossier delicati.
La posizione della Lega
La Lega si è mossa sottotraccia. È rimasta in scia del Movimento, cercando di non perdere i consensi che potrebbero derivare dal decreto sulle banche. Ma ciò non toglie che dopo le Europee si farà sentire, come spiega un esponente leghista del governo: «Tria ormai è un corpo estraneo. Poteva fare il notaio, eseguendo le decisioni dei due vicepremier, o il ministro autonomo, spalleggiato dal Quirinale. Ha scelto quest’ultima strada e ormai è considerato incontrollabile, anche dal presidente Conte. Quindi è chiaro che dopo il 26 maggio servirà un rimpasto, a partire da lui». Intanto la Lega lavora per una nuova maggioranza con dentro Fratelli d’Italia, pezzi di Forza Italia e «la parte più responsabile e governativa del Movimento 5 Stelle, vicina a Di Maio».
Monica Guerzoni e Alessandro Trocino, Corriere.it