Con le sue abbondanti censure e limitazioni, internet in Cina non è mai apparsa particolarmente all’avanguardia. Al contrario, molte delle applicazioni più popolari sulla rete della Repubblica Popolare sembrano copiate da quelle nate nella Silicon Valley californiana: Baidu per Google, Alibaba per Amazon, Youku per YouTube, Weibo per Twitter.
Ma da quando Mark Zuckerberg ha rivelato in un post pubblicato di recente che Facebook e le sue società satelliti come Instagram, Messenger e Whatsapp in futuro privilegeranno le comunicazioni private fra utenti rispetto a quelle pubbliche, la situazione è cambiato di colpo. In un gioco di specchi a ruoli invertiti, la strategia del guru di Menlo Park è sembrata improvvisamente trarre ispirazione da un copione scritto all’ombra della Grande Muraglia: precisamente quello ideato da Tencent, società creatrice di WeChat, l’app di messaggistica più famosa della Cina.
Zuckerberg ha scritto che Facebook vorrebbe diventare più simile a un “salotto digitale” rispetto alla piazza pubblica che ha rappresentato fino ad ora, integrando i suoi diversi servizi di messaggistica e aggiungendone altri per facilitare acquisti e pagamenti, dando ai suoi utenti un’esperienza più intima e spingendoli a restare il più possibile sulla piattaforma, anche a costo di scontentare gli inserzionisti pubblicitari che oggi rappresentano la maggiore fonte di guadagno di Facebook. Questo ricorda il modo in cui funziona WeChat, che per milioni di cinesi è diventata praticamente la principale porta d’ingresso a internet.
Grazie ai diversi programmi contenuti nell’app, chiamati Mini Programs, oltre 900 milioni di cinesi ogni giorno possono pagare le bollette, giocare ai videogiochi, ordinare da mangiare, chiacchierare con gli amici, accedere al proprio conto in banca, chiamare un taxi, tenere una videoconferenza, sporgere denuncia alla polizia. I media di Stato e alcune agenzie hanno addirittura degli account ufficiali su WeChat con cui possono comunicare direttamente con gli utenti. E il portafogli digitale dell’app, chiamato WeChat Pay, consente di comprare praticamente qualsiasi cosa, sia tramite servizi di e-commerce che nei negozi reali senza usare né cash né carte di credito, ma semplicemente scannerizzando un codice QR.
Creata da Tencent nel 2011 come semplice app per comunicare, WeChat o Weixin per i cinesi, è diventata nel giro di pochi anni una specie di coltellino svizzero multiuso che raccoglie al suo interno una serie infinita di sottoprogrammi svilupparti da terzi e gestiti in remoto, in modo tale che gli utenti non debbano scaricarli occupando memoria sui propri device.
Certo, la posizione dominante conquistata dall’app ha beneficiato non poco del supporto del governo di Pechino, che ha favorito ufficialmente la sua crescita mentre imponeva divieti e censure ad altre app occidentali come Google, Facebook, Messenger o Whatsapp. Inoltre, la reputazione di questo software non è delle migliori dal punto di vista della privacy: nonostante le ripetute dichiarazioni da parte dei vertici di Tencent sull’importanza della riservatezza dei suoi utenti, in Cina quasi tutti danno per scontato che il governo abbia ampio accesso ai dati per monitorare chiunque acceda a WeChat.
E i post che trattano gli argomenti considerati politicamente più sconvenienti vengono regolarmente cancellati. I ricercatori dell’università di Hong Kong hanno trovato che, solo nel 2018, sono stati ben 11mila gli articoli rimossi da WeChat e la società basata a Shenzhen ha totalizzato un magro zero su cento in una classifica compilata da Amnesty International nel 2016 che analizzava vari social network e servizi di messaggistica, assegnando un punteggio per il rispetto della privacy e il crittaggio dei messaggi (tra parentesi Facebook, con Messanger e WhatsApp era prima con 73 punti su 100).
Ma dopo i vari scandali che hanno segnato i suoi ultimi sviluppi, chi potrebbe dire che Facebook sia completamente trasparente nella gestione delle informazioni e dei dati dei suoi utenti? Basta pensare al modo in cui una società privata come Cambridge Analytica ha potuto mappare le preferenze politiche di migliaia di persone a loro insaputa o la russa Internet Research Agency ha creato campagne di disinformazione sfruttando gli algoritmi del social network al fine di polarizzare l’elettorato occidentale.
Nicola Scevola, Business Insider Italia