Stavolta potrebbe essere quella buona per la fusione bancaria di cui si parla da mesi. Quella tra Deutsche Bank e Commerzbank, le due grandi malate del credito tedesco (si potrebbe dire europeo), da tempo sotto pressione da parte del governo di Berlino e che secondo le indiscrezioni del fine settimana avrebbero accettato di avviare colloqui informali tra le alte dirigenze dei due istituti per una possibile fusione.
Le pressioni sui due vertici del governo di Berlino
Non è detto la ciambella riesca col buco: anche perché sia il colosso dell’investment banking che ha la Germania nel nome sia la più piccola banca commerciale hanno vissuto tempi migliori, e con fatica stanno portando avanti le proprie ristrutturazioni, per giunta in un contesto di peggioramento del quadro macroeconomico tedesco frenato dal calo di vendite nel settore auto. Alcuni dettagli sono stati pubblicati dal quodidano locale Die Welt, e confermati da varie fonti anonime alle agenzie Bloomberg e Reuters; mentre i portavoce dei due istituti e del ministero delle finanze (cui ancora residua un 15% del capitale di Commerzbank dal salvataggio pubblico degli anni scorsi) non hanno commentato le voci. Sono mesi che il governo tedesco cerca una via di uscita dal capitale di Commerzbank, istituto passato attraverso diverse crisi nell’ultimo quindicennio. Nell’estate del 2017 il dossier era stato mostrato anche all’italiana Unicredit, che in Germania è già presente in forze con il marchio locale Hvb: ma senza sviluppi ulteriori.
Anche il nuovo capo di Deutsche Bank rompe gli indugi
Secondo Bloomberg il nuovo ad di Deutsche Bank Chistian Sewing, che ha lanciato in fretta un piano di riassetto interno focalizzato sul segmento commerciale e regionale, avrebbe abbandonato le resistenze all’idea di concludere la fusione già quest’anno, come invece gradirebbe il governo anche per mettere le due banche al riparo da una congiuntura in forte rallentamento, e dagli effetti che potrebbero prodursi sul credito alle piccole e medie imprese esportatrici. Le due banche si erano già studiate nel 2016, prima di concentrarsi ognuna sui problemi propri: fatti di alti costi in rapporto ai ricavi, forti rischi legali (specie sul lato di Deutsche Bank, più volte pizzicata per miliardi dalla giustizia statunitense e di recente coinvolta anche nell’inchiesta per riciclaggio della scandinava Danske Bank), scarsa redditività falcidiata dalle turbolenze dei mercati. In tempi brevi, secondo diverse ricostruzioni, Sewing tornerà dal suo cda a dire se la fusione è percorribile oppure sia meglio percorrere altre strade per mettere in sicurezza due colossi da quasi 20 milioni di clienti l’uno, e che insieme pesano per un quinto del mercato creditizio tedesco.
I dubbi del mercato sul patrimonio e dei lavoratori sui tagli
La fusione, che darebbe luogo a un gruppo con capitalizzazione di 24 miliardi (la sola Intesa Sanpaolo ne vale 37, ma negli ultimi cinque anni Deutsche Bank ha perso tre quarti del valore borsistico) piace molto alla politica tedesca, e sembra trovare favore anche nel fondo Usa Cerberus, azionista rilevante di entrambi gli istituti. Tuttavia sono tanti anche i detrattori da convincere: come le agenzie di rating, che negli anni hanno declassato il merito creditizio di Deutsche Bank più di quello delle rivali internazionali; o come i potenti sindacati locali, che temono un’altra teoria di tagli a migliaia se le nozze si avverassero. Anche gli investitori di mercato finora hanno giudicato con freddezza l’ipotesi, nel timore che l’unione di due debolezze non faccia una forza, e che la Bce che vigila sull’Unione bancaria europea chieda un surplus di patrimonio in caso di fusione, come fece nell’ultima grande fusione, quella italiana tra Banco popolare e Bpm nel 2017.
Andrea Greco, Repubblica.it