Lo dimostrano due ricerche condotte sul social dell’uccellino e su Facebook durante le elezioni presidenziali statunitensi del 2016
Anziani, conservatori, politicamente impegnati e, soprattutto, molti meno di quanti pensiamo. Sono gli utenti che condividono e vedono notizie false su Twitter, stando a una nuova ricerca pubblicata su Science. Uno studio che ha preso in esame i cinguettii di 16mila account statunitensi nel corso delle presidenziali del 2016 e sembra suggerire un’altra verità riguardo alle fake news social: la preoccupazione in merito alla loro pervasività è fortemente esagerata.
• LA GUERRA ALLE FAKE NEWS
A rendere necessaria un’analisi più approfondita è stato proprio il polverone sollevato dall’elezione alla Casa Bianca di Donald Trump, spiega a Repubblica David Lazer, professore della Northeastern University di Boston, e uno degli autori dello studio. L’ascesa politica di The Donald, infatti, è andata a braccetto con la circolazione di notizie false. Come quella che voleva il capo di campagna della sfidante democratica Hillary Clinton, John Podesta, coinvolto in una setta satanica. Bufale che, secondo alcuni commentatori, i social media avrebbero contribuito a diffondere, polarizzando gli utenti in schieramenti contrapposti e favorendo l’elezione del magnate. Un’accusa che ha messo alle strette i big della tecnologia, spingendoli ad adottare svariate contromisure, e preoccupato molti.
• LO STUDIO
Da qui l’esigenza di monitorare la reale diffusione delle fake news. “Il nostro obiettivo – prosegue Lazer – era concentrarci su ciò che vedono e condividono le persone reali, dato che oggi molto di quel che conosciamo in merito a Twitter è probabilmente distorto dalla presenza di bot”, programmi informatici che generano automaticamente contenuti, simulando il comportamento degli umani. Per riuscirci, i ricercatori hanno abbinato gli account Twitter ai votanti registrati negli Stati Uniti in modo da escludere dall’analisi profili promozionali e non umani. Poi hanno stilato una lista di siti che si presentano come delle fonti giornalistiche, ma in realtà non garantiscono l’accuratezza e la credibilità delle informazioni. Il risultato è una mappa della dieta mediatica di 16,442 cittadini che dimostra come le fake news abbiano costituito il 6% delle informazioni complessive fruite e siano rimaste soprattutto confinate in una sorta di nicchia. Un circolo composto da persone anziane, politicamente impegnate, e di destra. In particolare, lo 0.1% di profili Twitter ha veicolato più dell’80% di notizie false che, a loro volta, sono apparse sulle bacheche di appena l’1.1% degli utenti.
• IL PRECEDENTE SU FACEBOOK
Il risultato va nella stessa direzione di un altro studio condotto su Facebook. Una ricerca qualitativa che offre spunti interessanti. Stando alle conclusioni, l’identikit di chi abbocca alle bufale coincide in entrambi i network: tendenzialmente favorevole a Donald Trump, quindi d’orientamento conservatore, e anziano. Con gli over 65 che mediamente condividono articoli redatti da siti inattendibili sette volte in più rispetto ai giovani. Ma in realtà anche sul social di Menlo Park la pubblicazione di questo genere di contenuti si è rivelata molto rara, contrastando la narrativa dominante che nel 2016 voleva le fake news ovunque.
• UN FENOMENO ANCORA TUTTO DA STUDIARE
“Queste ricerche mettono un limite al potenziale impatto delle notizie false sulle reti sociali”, conclude Lazer. Anche se desumere che non abbiano alcun ruolo sarebbe altrettanto sbagliato. “Valutarne gli effetti è ancora difficile perché richiederebbe stimare l’impatto dell’esposizione sul comportamento. Inoltre, non bisogna dimenticare che esistono molte forme di disinformazione”, precisa il ricercatore. Proprio su quest’ultimo aspetto pone l’accento Walter Quattrociocchi, autore di diverse ricerche sulla diffusione delle bufale online, e coordinatore del laboratorio di Data and complexity della Ca’ Foscari di Venezia. “La definizione di fake news è limitante in quanto non tiene conto di quei contenuti creati ad hoc per sollevare discussioni. Informazioni che non sono completamente false, ma vengono opportunamente manipolate a fini propagandistici”.
Infine, non è detto che Twitter e Facebook siano usati allo stesso modo in tutti i paesi e un altro strumento utile alla condivisione di notizie false è WhatsApp, dal funzionamento molto diverso. Un’analisi condotta durante le elezioni brasiliane del 2018 ha evidenziato che durante la campagna sono stati sfruttati programmi informatici per diffondere determinati messaggi attraverso l’app di messaggistica. Ma la loro efficacia è ancora tutta da studiare.
Rosita Rijtano, Repubblica