Il cantore di un’Italia antica di cui la critica si vergognava
Calabrese verace, credente, innamorato della famiglia e della sua terra. L’autore di «Una ragione di più» di sé diceva: «Sono un ignorante che si è fatto da solo»
A metà degli anni Settanta, non ricordo come, entrai in confidenza con Mino Reitano. Mi piaceva. Semplice, ingenuo, sincero: certamente un giovane atipico nel mondo dello spettacolo. Naif: così allora si usava dire, senza disprezzo, ma con una evidente sfumatura di sfottimento. Un giorno – ero al Corriere d’Informazione – Reitano ci invitò a passare una mezza giornata nella sua villa attigua a Milano, ad Agrate Brianza: prima una sfida a pallone – nella villa c’era un campo di calcio – tra la nostra redazione e una squadra composta da lui e dai suoi numerosi familiari. Poi, un pranzone con le specialità della sua (e mia) terra di origine, la Calabria. Della partita di calcio non ricordo nulla. Nella nostra formazione c’erano firme destinate a diventare importanti e famose: Ferruccio de Bortoli, Vittorio Feltri (se non sbaglio in porta), Massimo Donelli, Gian Antonio Stella, Francesco Cevasco, Gigi Moncalvo, Edoardo Raspelli… Il pranzo invece mi è rimasto indimenticabile. Non tanto per le ghiottonerie calabre, in verità straordinarie, ma perché nelle tavolate eravamo seduti solo noi maschi, i componenti delle due squadre e i vari sostenitori, amici e parenti. Neanche una donna. Le donne, comprese la moglie e le sorelle di Mino servivano a tavola: precise, impeccabili, pronte a prevenire, tra una soppressata e la pasta imbottita, ogni minimo desiderio dei convitati: il pane (cotto nel forno a legna da papà Rocco), i taralli, acqua, olio, vino, cambio delle posate… All’epoca già infuriava il femminismo («L’utero è mio e lo gestisco io…»), ma in redazione eravamo tiepidi, comunque restammo sorpresi e divertiti, e qualcuno esterrefatto, di fronte alla distinzione tra maschi e femmine. E su tutti era dominante la figura del papà, Rocco, di Reitano: un personaggio taciturno è autorevole, seduto alla mia destra.
Credo che di Mino sia rimasta in mente a tutti noi la sua famosa canzone patriottica: «Italia, Italia! Di terra bella e uguale non ce n’è…». Esageratamente sentimentale? Macché. Assolutamente sincera e senza inibizioni, com’era sempre lui. Perciò ricordo subito le opinioni che aveva della vita e ciò che diceva di sé stesso: «Io sono nella vita esattamente come appaio in tv: un ignorante che si è fatto da solo». «Pregate la Madonna incessantemente, supplicatela, vogliatele bene. Vedrete che anche nei momenti di difficoltà non vi sentirete mai soli». «Uno dei doni più belli che la vita mi ha dato è stato quello della famiglia: una moglie splendida e due figlie che mi sono sempre vicine e non mi lasciano mai. Cos’altro avrei potuto pretendere di più?». «Oggi il ritmo supera e domina sempre la melodia, ed è chiaro che, senza melodia, si scivola molto facilmente nel rumore, nel fracasso, in un cocktail di suonacci». Di lui, Pippo Baudo ha detto: «Mino è stato fortunato, perché ha avuto dalla vita quello che voleva, passando dall’anonimato delia provincia meridionale ai palcoscenici più importanti dei mondo dello spettacolo». Little Tony, a lui sempre vicino, dopo la morte di Mino: «Era un collega e un amico speciale, prezioso, da 40 anni. Ci siamo sentiti ogni settimana. Lui viveva la malattia con grande entusiasmo, mi diceva sempre che voleva fare un programma in cui io facevo Dean Martin e lui Frank Sinatra. Era dolce, modesto e si comportava sempre nel modo giusto. Era una persona speiciale, particolare. Sua moglie Patrizia gli è stata affianco in questo calvario». Memo Remigi. come tutti, concorda sulla sua dolcezza d’animo: «Aveva tante caratteristiche, ma la migliore era sicuramente la bontà». E Mike Bongiorno: «Un ragazzo d’oro come pochi». E Adriano Celentano: «Eravamo amici la domenica andavo a giocare a pallone da lui». Gianni Morandi: «Lo avevo sentito solo pochi giorni fa, faceva fatica a parlare, ma aveva una grande voglia di cantare. Se ne va un pezzo di storie della nostra musica».
Mino Reitano, all’anagrafe Beniamino, era nato a Fiumara il 7 dicembre 1944 ed è morto ad Agrate Brianza il 27 gennaio 2009. A dieci anni dalla sua scomparsa è ricordato per la sua straripante vitalità, per l’esuberanza delle sue esibizioni, un’icona della musica nazionalpopolare. Fu orfano della madre, morta a 27 anni nel darlo alla luce. Il padre Rocco (1917-1994) era un ferroviere, nel tempo libero suonava il clarinetto. Mino studiò per otto anni al conservatorio di Reggio Calabria: pianoforte, violino e tromba. A dieci anni, ospite della trasmissione televisiva La giostra dei motivi, presentata da Silvio Gigli. Da adolescente, subito rock insieme con i fratelli Antonio, Vincenzo (Gegè) e Franco. È autore delle musiche di quasi tutte le canzoni da lui incise e ha scritto anche brani per altri artisti, il più noto è Una ragione di più, con Franco Califano per Ornella Vanoni. Ha avuto un unico grande amore nella sua vita, oltre all’amore per la musica e a quello per il suo paese nativo: nel marzo 1977 sposò Patrizia Vernola, da cui ha avuto due figlie, Giuseppina Elena (1978) e Grazia Benedetta (1979). Nel 1961 si trasferisce in Germania, dove in gruppo con i suoi fratelli lavora in un club in cui suona insieme ai Beatles (ali epoca si chiamavano The Quarrymen, anche loro agli esordi). Dopo un anno e mezzo torna in Italia, inosservato, e poi ancora in Germania, anche nei locali della famosa strada Reeperbahn di Amburgo. Nel 1965 partecipa al Festival di Castrocaro, cantando in inglese It’s over, un pezzo di Roy Orbison: non vince, ma arriva in finale. A seguire un contratto con la Ricordi e nel 1967 debutta al Festival di Sanremo con una canzone scritta da Mogol e Lucio Battisti, Non prego per me, in coppia con The Hollies, il gruppo di Graham Nash. In estate con Quando cerco una donna va al Cantagiro. E nel 1968 – passa alla Ariston Records di Alfredo Rossi – ecco il successo: Avevo un cuore (che ti amava tanto) e Una chitarra, cento illusioni (500.000 copie vendute). E scrive una delle sue canzoni più significative, Il diario di Anna Frank, portata al successo dai Camaleonti. Nel 1969 Reitano ritorna al Festival di Sanremo con Meglio una sera piangere da solo (in coppia con Claudio Villa). Mino, allora, era continuamente sui giornali, gli venivano attribuiti flirt e fidanzate. Ma, entrando nella sua famiglia, si capiva subito che cose del genere non avevano niente a che fare con la sua vita. E tutti si meravigliarono quando, nel 1977, Reitano stesso annunciò che era fidanzato e si sarebbe sposato dopo un paio di settimane. Dal 1970 al 1975 partecipa a sei edizioni consecutive di Un disco per l’estate, superando sempre la fase eliminatoria. La sua prima partecipazione è con Cento colpi alla tua porta, nel 1971 vince con Era il tempo delle more, uno dei suoi dischi più venduti. Partecipa inoltre per otto anni a Canzonissima, guadagnandosi sempre la finale 0 i primi posti. Nel 1971 Mino recita anche in uno spaghetti western, Tara Poki di Amasi Damiani, incidendo anche la canzone principale della colonna sonora. Tre anni dopo pubblica un album, Dedicato a Frank, in cui in copertina si fa ritrarre con Frank Sinatra. Ha poi la soddisfazione di duettare insieme con lui a Miami durante il concerto per i festeggiamenti del Capodanno. Partecipa a show televisivi e alla composizione di sigle musicali, tra cui la più nota è Sogno, dal programma Scommettiamo?, condotto da Mike Bongiorno sulla prima rete Rai nel 1976. Nello stesso anno scrive un romanzo intitolato Oh Salvatore!, storia di un emigrante con alcuni spunti autobiografici, pubblicato dalle Edizioni Virgilio di Milano. Nel 1977 partecipa al Festivalbar con Innocente tu, Ora c’è Patrizia, ed è dedicata alla sua inseparabile moglie. Con i fratelli fonda una casa di edizioni musicali e discografica, la Fremus (che sta per Fratelli Reitano edizioni musicali), gestita dal fratello Vincenzo. Nel 1973 aveva scritto una canzone che partecipò e vinse lo Zecchino d’oro, La sveglia birichina: un notevole successo presso i bambini, anche nell’interpretazione di Topo Gigio, che la incide. Scrive inoltre Ciao amico, che dal 1976 al 1984 diventa la sigla del festival canoro. Nel 1988 si ripresenta a Sanremo cantando Italia, scritta all’inizio per Luciano Pavarotti da Umberto Balsamo, la canzone, che esprime in maniera un po’ enfatica l’amore di Reitano per il suo Paese. Nel 2007 gli viene diagnosticato un cancro all’intestino: affronta serenamente la malattia anche grazie alla sua profonda fede cattolica. Subisce due interventi chirurgici, l’ultimo nel novembre 2008. Nonostante le cure, ad Agrate Brianza, il 27 gennaio 2009, Mino Reitano si spegne con la mano nella mano della moglie Patrizia.
Pochi mesi dopo le Poste Italiane emettono un francobollo a lui dedicato, terzo di una serie di tre valori della storia musicale italiana: gli altri due francobolli della serie erano stati per Luciano Pavarotti e Nino Rota. Ma proprio la sua fine mise in evidenza un fatto triste. E cioè che Mino Reitano, personaggio popolarissimo, con una splendida carriera artistica durata una quarantina d’anni, era stato completamente dimenticato dai media. Per la verità – è stato scritto – Mino non aveva quasi mai goduto di un trattamento generoso da parte dei media, che si sono interessati di lui sempre con una certa ironia, con una pacata ostilità. Anche se non potevano ignorarlo perché era un idolo per la gente. Reitano non aveva protettori politici, ideologici, corporativi. Faceva parte di quella categoria di persone con una esistenza normale, serena, senza scandali, una famiglia unita, tradizionale, una fede cristiana sentita e praticata apertamente. Infine, ai lettori vorrei confidare un rimorso. Nei primi anni di questo millennio – non ricordo di preciso – andai a Cosenza per presentare un mio libro. Era la mia città, ci tenevo molto. Reitano mi aveva assicurato la sua presenza, pensavo a un divertente duetto con lui, sul Sud, la necessità di emigrare al Nord per affermarsi. Ma all’ultimo momento, un’ora prima, Mino mi mandò un messaggio per dirmi che aveva un problema e non sarebbe riuscito a partecipare. Mi irritai moltissimo, so di avere a volte un caratteraccio. Non accettai scuse. Fatto sta che non ci sentimmo più. Penso oggi che probabilmente Reitano era già malato e non voleva dirmelo. Questo ricordo, quando ci penso, è molto brutto, per me. Vorrei rimediare. Sono passati dieci anni dalla scomparsa di questo cantante bravo, musicista sensibile, e il suo valore è intatto, a differenza di tante altre meteore. Penso che sia arrivato il momento per rivalutarne la figura e sono pronto, per quel poco che vale, a dare il mio contributo.