Uno studio di ValoreD e dell’Università Cattolica di Milano mette in evidenza le insoddisfazioni dei lavoratori over50: solo il 32% si sente attivo e partecipe e il 40% delle donne si definisce discriminato. Talenti da valorizzare, ammettono le aziende, e non solo i termini di digital gap
Conviene farci i conti perché sono tanti, molto presenti sul mercato del lavoro e destinati a restarci ancora per un discreto numero di anni. Cinquantenni, occupati e spesso insoddisfatti, divisi fra la paura di essere messi da parte e la tentazione di “sedersi”: due lussi che un paese ad alto tasso di invecchiamento come l’Italia non può più concedersi, tanto meno le aziende che proprio in questa fascia d’età contano il maggior numero di contratti a tempo indeterminato. In Italia gli occupati over50 sono più di 8 milioni e mezzo, quelli d’età compresa fra i 25 e i 34 anni superano a malapena i 4. Una ricerca di Valore D, associazione di 190 imprese che promuove l’equilibrio di genere, e dell’Università Cattolica di Milano, ha acceso il faro sugli uomini e le donne di questa generazione e ha scoperto che meno del 31 per cento di loro si sente valorizzato e “attivo”. Il resto si definisce in “difficoltà” (quasi il 46%) o addirittura “smarrito” (più del 23). La maggioranza vorrebbe fare di più di quello che fa, chiede maggiore considerazione e punta a rimettersi in gioco: “Talenti senza età”, recita il titolo della ricerca, ovvero capitale umano da recuperare , anche in termini di velocità d’azione e gap digitale.
Lo studio
Il problema è ben presente alle piccole e grandi aziende, dove la stragrande maggioranza dei dipendenti è costituita da Baby boomers e Generazione X (i nati fra i ’60 e gli ’80): fascia che lo studio fotografa attraverso 13 mila interviste a lavoratori di diversa occupazione e provenienza territoriale. Dai dati emergono molti tratti in comune: il desiderio di avere qualche anno in meno (solo 5 per le donne, ben 18 per gli uomini), la difficoltà a conciliare lavoro e cura di figli ancora non autonomi e genitori anziani (60%, tasso trascinato soprattutto dalle donne che si sentono meno aiutate sia in famiglia che in azienda), la sensazione di sentirsi discriminati in azienda per età e per sesso. Sotto questo profilo ben il 40 % delle donne si sente sotto attacco.
Ma la ricerca curata da Claudia Manzi, professoressa di Psicologia sociale alla Cattolica, (lo studio sarà presentato oggi) mette in risalto soprattutto la difficile gestione dei rapporti intergenerazionali in azienda, la diffusa sensazione fra gli over 50 di dare più di quello che si riceve, sia in termini di consigli pratici che di supporto emotivo. Un aspetto questo che le aziende mettono al centro delle loro strategie di “recupero”. Perché i cinquantenni non sono “panda” e perché l’investimento compiuto nel passato sulla loro formazione non può essere sprecato: “La popolazione over50 è in costante crescita quindi l’Ageing management è diventato un nodo strategico per la gestione del capitale umano – precisa Barbara Falcomer, direttrice generale di Valore D – le aziende stanno sperimentando soluzioni diverse, ma non esiste ancora un modello virtuoso definito e testato”.
Le strategie
Tim è stata fra i primi a introdurre forme inclusive base sull’anagrafe, nel gruppo – come in molti altri – l’età media è superiore ai 50 anni, con punte di 52 fra i tecnici di rete. Il progetto Age management, attivo da qualche anno, prevede, oltre a servizi di welfare dedicati e a piani formativi ad hoc, confronti intergenerazionali che mixino diversi approcci culturali, motivazionali e di training.
Anche NTT Data, la multinazionale giapponese che si occupa di system integration e consulenza strategica, ha messo in atto una strategia ad hoc per gli over 50. Non solo, ne ha assunti di nuovo. “Vista la tipologia di servizio offerta e l’approccio digitale abbiamo una presenza elevata in azienda di under 35 – spiega Nadia Governo vicepresidente di NTT Italia – e l’attenzione dedicata a quella fascia d’età ha il passato generato malumori nei dipendenti, ma da qualche anno abbiamo aggiustato il tiro anche perché abbiano notato che se i team sono intergenerazionali i risultati finali sono migliori. Tanto che in alcune sedi molto spostate sulla fascia giovane, abbiamo fatto assunzioni di over50: la loro esperienza e formazione è essenziale per gestire le situazioni più complesse e la valutazione dei rischi. La contaminazione e il superamento degli stereotipi da una parte e dall’altre sono la strategia vincente”.
Stesso approccio per Zurich, gruppo assicurativo svizzero, dove gli over50 rappresentano il 35% dei dipendenti. “Fra le operazioni messe in atto c’è il cross mentoring, l’affiancamento incrociato delle due generazioni che mettono a confronto esperienza e competenza digitale. Ha dato ottimi risultati, molto più elevati rispetto ai corsi di formazione tradizionali” assicura Federica Troya, direttore delle Risorse umane. Quanto alla differenze di genere “il nostro impegno è sia sulle carriere, visto che il 50% del board è composto da donne e sui redditi: abbiamo un programma ad hoc per contenere il pay gap a parità di merito e posizione, le divergenze di stipendio fra uomini e donne non superano il 5%”.
Luisa Grion, Repubblica