La tendenza green di Stella McCartney guadagna sempre più follower. Gli ultimi ad aver subito il fascino del marchio della figlia dell’ex Beatle Paul sono i dirigenti di LVMH. Il gruppo parigino ha fatto il grande passo e ha comprato una quota del marchio, che solo pochi mesi fa si è reso indipendente dal grande concorrente di LVMH, Kering. Non sono noti i dettagli finanziari dell’operazione, ma quello che è chiaro è che Stella resterà creative director e che manterrà la maggioranza dell’azienda. LVMH non esita a render nota anche la motivazione: “uno dei fattori decisivi è che Stella McCartney è stata la prima a mettere in primo piano sostenibilità e questioni etiche, iniziando molto tempo fa”, spiega nel comunicato che ha diffuso la notizia il fondatore del gruppo Bernard Arnault.
Da sempre, Stella McCartney è noto per il suo impegno nella realizzazione di moda sostenibile, privilegiando ad esempio l’utilizzo di pelle finta per le borse e l’impiego di materiali riciclati. Si tratta di un tema sempre più discusso anche durante le fashion week: sia quella di New York qualche mese fa, dove numerosi designer hanno presentato capi in materiale sostenibile e hanno sostenuto no-profit attive nella lotta al cambiamento climatico, sia in quella di Barcellona, che si è chiusa da pochi giorni. In quest’occasione il marchio All Sisters ha presentato una collezione realizzata tutta in materiale riciclato, mentre Sonia Carrasco ha intitolato la sua 33.394759-124.969482, utilizzando le coordinate della cosiddetta “Plastic Island” nell’Oceano Pacifico.
Insomma, “green is the new black”: ma quanto vale l’impegno per l’ambiente?
Secondo un rapporto di McKinsey citato da Euronews, l’iniziativa muove innanzitutto da una richiesta da parte dei consumatori. Oltre il 70% dei clienti sarebbe disposto infatti a spendere di più per dei prodotti realizzati secondo modalità e con tessuti sostenibili.
Tuttavia, sembra che dal lato dei marchi però, almeno secondo quanto riporta un report steso da Global Fashion Agenda e Sustainable Apparel Coalition insieme a Boston Consulting Group e citato da Forbes, l’interesse stia andando scemando: l’indice che misura il progresso dell’industria in questo ambito è incrementato di soli 4 punti. Nel 2017 erano stati 6.
Per quanto riguarda Stella McCartney, nel 2017 i ricavi valevano 42,5 milioni di sterline (47,1 milioni di euro), per un utile di 7,1 milioni di sterline (7,8 milioni di euro). Si tratta di una crescita rallentata rispetto al bilancio precedente, ma se si considera che il marchio esiste soltanto da poco più di un decennio, una performance più che onesta. Certo, si tratta di una briciola dei risultati Kering, che negli ultimi anni hanno brillato soprattutto grazie alle ottime performance di Gucci: per gli effetti del divorzio dalla casa parigina e del nuovo legame con LVMH bisognerà aspettare i prossimi bilanci.
Altre tra le più impegnate sono Patagonia, che dal 2002 dona l’1% dei ricavi a no profit attive nella protezione dell’ambiente, ma anche Eileen Fisher e Mara Hoffman. La prima ha intenzione di diventare carbon free entro il 2020, la seconda utilizza per le proprie collezioni tessuti ricavati da bottiglie di plastica.
Ma, al di là di questi marchi specificamente attivi nel settore, a muoversi verso il green sono anche sempre più case di moda storiche. Basti pensare al fur ban, l’addio alla pelliccia lanciato da Gucci e da altri marchi: hanno ormai rinunciato a questo tessuto anche Burberry, John Galliano, Giorgio Armani, Micheal Kors e Versace. Altri, come Calvin Klein e Tommy Hilfiger, abbracciano questa politica già da prima.
Insomma, l’interesse per il green c’è, ma il rischio è che, come ogni moda, duri poco. Ma la questione per i consumatori è seria: il report della Global Fashion Agenda, la domanda non è “se bisogna incrementare l’interesse nella sostenibilità, ma quanto ci metteranno i clienti a smettere di acquistare dai marchi che non si comportano in modo responsabile”.
Business Insider