(di Tiziano Rapanà) Questa notte non ho dormito. Ho letto e fatto zapping in tv. Su Rete 4 ho beccato un film, che avevo già visto qualche anno fa. Si chiama Da Corleone a Brooklyn, lo ha diretto il re del cinema di genere nostrano Umberto Lenzi, con protagonisti il divo dei polizieschi Maurizio Merli e Mario Merola. Bello, coinvolgente, anche se non ho mai visto – in un film o in una fiction – un mafioso siciliano parlare in napoletano. Vi voglio parlare di una notizia che mi ha colpito. Il ritiro, a dir poco prematuro, del rapper Rocco Hunt. L’artista, nato a Salerno nel 1994, noto per aver vinto Sanremo Giovani nel 2014 con Nu juorno buono, ha deciso di smetterla con la musica. “Mi hanno privato e ancora adesso mi stanno privando della mia liberta”, queste sono state le prime parole dell’artista su Instagram, “Sono anni che continuamente vi prometto che l’album nuovo uscirà presto e per un motivo o per un altro non riesco a condividerlo con voi… non me la sento più di continuare e credo sia meglio lasciarvi con il bel ricordo che avete di me”. E ancora: “Ho troppe pressioni e forse è arrivato il momento di mollare tutto e darla vinta a tutte le persone che vorrebbero la fine della mia musica”. I fan e i suoi colleghi si sono stretti attorno a lui, dandogli conforto e chiedendogli di non mollare. Io non me la sento di unirmi al coro: rispetto il dramma di un artista vittima di uno stress, figlio di un mondo infame. Il successo non porta sempre la felicità. La storia è piena di artisti dannati dal successo. Gente che ha perso anche la libertà di uscire di casa e di poter andare al bar e mangiare un gelato come una persona qualunque. Il mondo canoro di Hunt mi lascia indifferente, musicalmente preferisco altre costellazioni sonore. Tuttavia mi è sempre parso un artista serio e corretto, che non merita di vivere in questo turbine di tribolazioni. Gli auguro il meglio, fa bene a fermarsi. Adesso deve pensare a sé e alle sue cose.