Il DESI, Digital Economic and Society Index, esce tutti gli anni e misura i progressi che ciascun paese fa sulla via del digitale. L’Italia, da tre anni, resta impantanata nelle parti basse della classifica europea. Ma non è solo colpa dei politici. Anche a noi in fondo non ce ne frega abbastanza per inchiodare i nostri rappresentanti alle loro responsabilità
Inutile e forse anche sbagliato prendersela con il governo. Con questo, con il precedente e con tutti gli altri, su, fino alla prima repubblica. Se l’Italia nella classifica europea del digitale langue al 24esimo posto su 28 sarà anche colpa nostra.
Come che c’entriamo? Se la stessa classifica fosse stata per il calcio, stamattina nei bar non si parlerebbe d’altro: rifondazione! rivoluzione! cambiamo tutto! Se avesse riguardato la corruzione (in realtà non è molto diversa da quella digitale), avremmo trovato editoriali indignati del tipo: ora basta! la gente non ne può più dei corrotti! Se invece avesse riguardato la crescita economica (toh, anche quella è piuttosto simile, sarà un caso?), allora oggi il governo sarebbe ancora più in bilico di quanto non sia, e non avendo idea su come risalire qualche posizione e far crescere davvero l’economia, avremmo riaperto il dibattito su restare o no in questa Europa matrigna.
E invece la classifica pubblicata ieri a Bruxelles riguarda il digitale: si chiama DESI, Digital Economic and Society Index, esce tutti gli anni in primavera e misura i progressi che ciascun paese fa sulla via del digitale, non per il gusto di fare l’ennesima classifica ma perché da qui passa l’unica possibilità per un paese di crescere e di battere la corruzione.
Il DESI tiene conto di un sacco di fattori, dalla connettività alla pubblica amministrazione, dalle imprese alle competenze digitali dei cittadini. E l’Italia resta lì, da tre anni inchiodata al quint’ultimo posto. Avete sentito la notizia al tiggì? L’avete notata in prima pagina sui giornaloni? I nostri facondi politici l’hanno per caso commentata su Twitter? Nulla. Silenzio assoluto.
Ma statene certi: al prossimo evento di giovani al quale saranno invitati diranno con la massima intensità di cui sono capaci che l’Italia ha bisogno di innovazione, che il digitale è il nostro futuro, che le startup sono un toccasana. I più visionari citeranno anche qualche confuso progetto su intelligenza artificiale e blockchain. E torneranno ad occuparsi di cose serie. Per questo è colpa nostra: perché anche a noi in fondo non ce ne frega abbastanza per inchiodarli alle loro responsabilità.
Riccardo Luna, Agi.it