(di Sara Zellini) – Umberto D. è un film del 1952, scritto e sceneggiato da Cesare Zavattini, e diretto da Vittorio de Sica. Il film racconta la storia di un anziano funzionario ministeriale completamente in miseria, ma animato da una grande dignità. Esprime a pieno il senso dell’intero film la scena più famosa: quella in cui Umberto D. tende la mano per chiedere la carità, ma, resosi conto che aveva di fronte una persona conosciuta, immediatamente la capovolge, imbarazzato e umiliato. Dopo un ricovero in ospedale pensa di buttarsi sotto un treno per togliersi silenziosamente di mezzo e non essere più di peso a nessuno. All’arrivo del treno però il suo affezionato cagnolino, con il quale si accingeva a morire, scappa. Umberto D allora lo insegue e viene distolto dal pensiero del suicidio: la vita, in fondo, riserva ancora qualche speranza.
Il destino dell’opera fu controverso: la critica si divise tra chi lo ritenne una delle migliori opere cinematografiche di De Sica e uno dei capolavori del neorealismo, e chi invece lo criticò aspramente come punto limite nella sperimentazione di un tipo di film costruito sul principio della negazione delle possibilità narrative spettacolari (G. Brunetta). Pessima fu l’accoglienza del pubblico, che si lamentò del fatto che vi veniva mostrata la realtà con drammatico (neo)realismo.
Le controversie sull’opera non finiscono qui: nonostante si creda che il titolo della pellicola sia un tributo del regista al padre, Umberto De Sica, con cui Vittorio aveva un rapporto molto forte, in realtà l’idea del titolo fu del celebre sceneggiatore, Cesare Zavattini (Silvana Cirillo, “Za, l’immortale: centodieci anni di Cesare Zavattini”, Ponte Sisto). Questo equivoco fu motivo di disaccordo e di astio tra i due.
Se l’accoglienza del film in patria non fu positiva, la stessa cosa non si può dire per quanto riguarda l’estero: a Hollywood Umberto D. fu apprezzato e celebrato, tanto da vincere, nel 1955, il “New York Film Critics Circle Award”. Charlie Chaplin, in particolare, dimostrò non solo un caloroso apprezzamento, ma anche una sincera partecipazione e commozione: Chaplin, infatti, al termine di una proiezione privata di “Umberto D.” uscì asciugandosi le lacrime. Al termine, a Hollywood, ci fu un silenzio totale, tant’è che De Sica pensò al peggio, preoccupato soprattutto del giudizio di “Charlot”, che, secondo lui, era il più grande di tutti. Ma poi Chaplin, con gli occhi pieni di lacrime, disse commosso: “De Sica, non ho mai visto nulla di più bello.” E ancora: “Torni in Italia, perché qui è troppo presto per un film così”.
Non è dunque un caso che i figli di De Sica, Manuel, Christian e Emi, sostengano tutti e tre che “Il film più bello di papà è Umberto D.” Meglio di tutti coglie l’essenza del film Emi, che sostiene: “E’ la storia di un vecchio, di un cane bastardo e di una servetta ignorante. Non c’è altro, nessuna concessione allo spettatore, nessun aiuto.”
E un film che porta la vita, nuda e cruda, sullo schermo, senza filtri, senza mezzi termini. Ma nella vita al di fuori della regia e del mondo del cinema, chi era davvero questo affascinante e dirompente regista che riuscì a far commuovere il grande Charlie Chaplin? Vittorio De Sica viveva una vita all’insegna del doppio: una doppia relazione innanzitutto, che lo portava a sperimentare un mondo all’insegna di doppie ricorrenze, doppi anniversari, doppie feste, doppi regali. Il suo primo matrimonio lo celebrò nel 1937, quando sposò Giuditta Rissone, attrice di un’affermata compagnia teatrale. Da questa prima unione nacque la figlia Emi. Ma nel 1942 conosce la Mercader, nata a Barcellona, ma costretta a fuggire dalla Spagna a causa della guerra civile. Il loro sarà un rapporto chiacchierato e senza segreti. Ma il regista non riuscì a separarsi dalla precedente moglie. E da Maria ha due figli: Manuel e Christian.
Quello che stupisce di più è la capacità incredibile di De Sica non solo di vivere in questa doppia vita, ma di trascinare con sé le due donne coinvolte: riuscì infatti a ottenere da entrambe l’accettazione della coesistenza di quel duplice rapporto. L’impossibilità di dire addio a una delle due vite lo portò dunque a partecipare a doppi pranzi, doppi festeggiamenti a Natale e a Capodanno: per questa ricorrenza, era solito mettere l’orologio avanti di due ore, per i bambini. Questo doppio menagè continuò anche dopo il divorzio dalla Rissone, ottenuto in Messico nel 1954, a cui seguì un primo matrimonio con Maria, sempre in Messico nel 1959. Tuttavia, l’unione non fu riconosciuta dalla legge italiana. Il loro legame fu ufficializzato solo nel 1968, quando De Sica ottenne la cittadinanza francese e sposò la Mercader a Parigi.
Christian De Sica, figlio di Vittorio e Maria, di quel sospirato matrimonio racconta: “ Siamo diventati tutti francesi per quel matrimonio, poi io ho chiesto a Pertini di tornare italiano. Mamma, povera, a quel matrimonio teneva tanto. Ma quando ci è arrivata era già un po’ ciccionetta, lei che era stata così bella, e la coppia era matura. Il giorno delle nozze, lei fa a papà: “Vittorio, la supposta l’hai presa?” E lui “Marì, se mi rompi le scatole non ti sposo più.”” Christian racconta che il padre era un uomo dolcissimo, ma di stampo ottocentesco. E racconta un episodio che vede Maria e Vittorio protagonisti: “Una volta, eravamo tutti in auto e mamma ci fa fermare per ritirare un pacchetto. Noi restiamo a bordo e quando lei torna, papà dice: “E’ l’ultima volta che faccio la spesa”. Io, invece, quando mi sono sposato, passavo l’aspirapolvere.”
Innegabile, a ogni modo, che il vero amore di Vittorio De Sica sia stata Maria Mercader. Come si spiega, allora, la difficoltà di De Sica nello staccarsi dalla sua vita precedente? C’è chi sostiene che si sentisse in colpa nei confronti della prima consorte, o che non volesse privare di una figura paterna la prima figlia. Ma forse questa incapacità di De Sica di allontanarsi da una vita che gli era appartenuta ha radici più profonde: esprime un radicale amore per la vita, la volontà e il desiderio incompiuto di non vivere solo una volta, ma di sperimentare tutte le vite possibili. Esprime quel sentimento di nostalgia di cui parla Pasolini nel suo “Romanzo del mare”: nostalgia per almeno una delle mille vite che avremmo potuto vivere diversamente e che non abbiamo sperimentato.
De Sica ci ha provato, a vivere più di una vita. E forse, in parte, ci è riuscito. L’amore per la vita lo riversa anche nella sua opera cinematografica, e in particolare in Umberto D. : l’anziano signore protagonista infatti, alla fine della pellicola, torna alla vita, allontanando il pensiero del suicidio, perché capisce che questo mondo ha in serbo ancora qualcosa di bello per lui. Un film neorealista, dunque, che porta sulla scena cinematografica la vita vera, ma che è anche un elogio alla vita stessa.
Umberto D. è stato trasmesso in chiaro l’ultima volta il 20 agosto 2014.
Il DVD del film può essere acquistato su Amazon.
Sul portale Youtube è caricato il film interamente ma solo nella sua versione tradotta in spagnolo.