C’è sempre più bisogno di capire come la rivoluzione digitale influenza la vita dei ragazzi. Anche per educarli
GENITORI e figli nell’era dello smartphone. Ragazzi in fuga in un mondo virtuale. Sul tavolo da pranzo o mentre fanno i compiti, c’è sempre lo stesso oggetto: il cellulare. Gli adolescenti sono assenti, distanti, nei casi più gravi, qualcuno si isola completamente. Rapporti che si complicano soprattutto quando si tenta di spegnere tutto e mettere telefonini e tablet in un cassetto. Perché i giovani sembrano vivere solo negli schermi dei loro dispositivi tecnologici. C’è sempre più bisogno di capire come la rivoluzione digitale influenzi la loro mente. Questo per comunicare con loro e tornare ad educarli. Ne è convinto lo lo psicoterapeuta Domenico Barrilà che affronta questo argomento nel suo ultimo libro: I superconnessi, come la tecnologia influenza le menti dei nostri ragazzi e il nostro rapporto con loro.
Per Barrilà gli adulti devono tornare a fare gli educatori, un compito che, spesso sentendosi inadeguati in un mondo che cambia in fretta, hanno finito per rifiutare, spalancando le porte alla tecnologia che ha preso per mano i ragazzi. Perché, spiega l’esperto, “l’ubriacatura tecnologica” ha generato una confusione pedagogica senza precedenti. La situazione è sfuggita di mano agli adulti principalmente perché si è verificata una sorta di inversione gerarchica. Per la prima volta nella storia della pedagogia i figli ne sanno più dei genitori, e la risposta si è concentrata sulla “stigmatizzazione della tecnologia, quasi una reazione di rabbia contro ciò che li mette in minoranza”. Ma telefonini e tablet non possiedono vita propria, sono un falso bersaglio. “Il problema è educativo. Per fortuna, passata la piena, sembra che le persone vogliano tornare, finalmente, a ragionare, cioè a educare, si comincia a capire che se piove è inutile prendersela con le nuvole, bisogna aprire l’ombrello. Nel caso specifico, smetterla di lamentarsi, cercare di prepararsi e recuperare il tempo perduto”, spiega Barrilà.• NELLA MENTE DEI RAGAZZI
I telefonini e le chat, ma anche le decine di siti in cui navigare finiscono per dare forma alla mente dei ragazzi, perché oggi passano proprio lì gran parte del loro tempo libero. “La tecnologia fornisce ingredienti nuovissimi per la formazione del loro stile di vita. Intanto definiamo lo stile di vita. Si tratta dell’impronta digitale, assolutamente unica, che rende riconoscibile ogni individuo. Prende corpo nei primi anni e tende a persistere. Gli ingredienti che concorrono alla sua formazione sono la costituzione ereditaria, così come dai nostri genitori acquisiamo il colore degli occhi o la forma del naso, si può ipotizzare che qualche blocco di neuroni prendiamo a prestito da loro, le interpretazioni soggettive e l’ambiente, a cominciare da quello familiare- spiega Barrilà – . L’esperienza sul campo mi porta a dire che proprio l’ambiente è l’azionista di maggioranza dello stile di vita”.
In poche parole il nuovo ambiente digitale finisce per influenzare le vite di tutti. “Il punto è che nella Rete l’ambiente esso si presenta smaterializzato, volatile, pre-interpretato, tutto e niente – aggiunge l’esperto -. E’ come se fabbricassimo una casa sostituendo il cemento con un fluido invisibile o con un prodotto senza etichetta, passato chissà attraverso quante manipolazioni. Una condizione alla quale dobbiamo ancora adattarci, che per adesso produce effetti collaterali paradossali, accelerando processi che una volta non sarebbero mai arrivati al loro esito finale, come vediamo accadere in politica. Accade ciò che vedevamo nei film di Walt Disney, quando l’impossibile diventava plausibile”.
• IL BUON ESEMPIO
I nuovi strumenti tecnologici sono preziosi e possono dare stimoli importanti ai ragazzi. Ma è bene che la tecnolgia non prenda il sopravvento nelle vite dei giovani ed è qui che devono intervenire gli adulti. “Dobbiamo educarli anche chiedendoci, ad esempio, come si possono porre limiti ai figli se noi stiamo sempre appiccicati allo schermo, piccolo o grande che sia. L’educazione non passa per i manuali e i discorsi esortativi, è una trasmissione testimoniale, il che significa che possiamo portare i nostri figli solo dove noi stessi siamo in grado di andare”.
• IL TEMPO CON I FIGLI
Spesso i ragazzi cercano in rete proprio tutto quello che non trovano a casa, per questo è importante dedicare loro tempo. “Nella Rete si cerca quello che non si trova nelle vicinanze. Io credo che i nostri figli preferirebbero avere dei genitori con cui scambiare pareri intelligenti e, ancora meglio, esperienze fondate sul verbo “stare” – aggiunge Barrilà – . Un ragazzino di dieci mi racconta di avere passato la giornata più bella della sua vita. Era andato a lavare la moto col papà e poi avevano fatto una gita, sempre in moto, fino a Milano. Noi genitori siamo l’antidoto, diciamo che dovremmo esserlo. Siamo i custodi della realtà, tocca a noi adulti rappresentarla e renderla appetibile. Il nostro compito è proprio quello di accendere nei figli la nostalgia della realtà. Parlare male delle nuove tecnologia non serve, anzi le rende più intriganti, senza contare che non innalzeremo la nostra stima abbassando la loro”.
• MAI SPIARE I RAGAZZI
Per creare una buona comunicazione con i figli è anche bene dare loro fiducia e non dare mai la sensazione di volerli spiare. Possiamo osservarli mai spiarli. “Osservare serve per conoscere e intervenire a ragion veduta. Questo crea progresso nella relazione genitori-figli perché aiuta i grandi a non tirare a indovinare, rendendo loro possibile “entrare a tempo” e consapevolmente. Spiare, che è una brutta parola tipica dei regimi totalitari, evoca un atteggiamento poliziesco, dal quale non potrà mai nascere un rapporto di fiducia. Le informazioni sulla vita di un ragazzino non le si acquisisce mettendo la testa di soppiatto nei suoi oggetti digitali ma tenendo d’occhio, a debita distanza, la qualità delle sue interazioni sociali. Quello è il termometro. Se mio figlio palesa una vita sociale gratificante, buone relazioni, interessi più vasti di quelli contenuti nello schermo, allora non c’è da preoccuparsi. Se, invece, una creatura dal millenario destino sociale, fa sistematicamente a meno della vicinanza con i propri simili, siamo di fronte a un indizio da tenere sotto controllo”.
• COME AIUTARLI A CRESCERE
“La vita è un lungo viaggio verso il prossimo, che può essere esaltante se insegniamo ai bambini e ai ragazzi a portare i loro interessi in armonia con quelli dei propri simili. Esattamente il contrario di ciò recitano le figure pubbliche in quest’epoca senza pedagogia civile. Chiunque cerchi di negare la natura cooperativa degli esseri umani, finisce sempre contro gli scogli. Naturalmente vale per i politici, vale per gli educatori e vale anche nell’ambiente della Rete, all’interno della quale i ragazzi portano nient’altro che la loro struttura educativa – conclude l’esperto – . Niente accade a caso. Se consegniamo alla Rete ragazzi con una buona dose di sentimento sociale, che è il misuratore della loro salute mentale, col tempo bonificheremo anche l’universo digitale”.
Valeria Pini, Repubblica