“Un delitto a New York, i segreti del dopoguerra, il prossimo disastro. Un romanzo dei fatti e della fantasia”. Così dice la fascetta che avvolge il nuovo libro di Enrico Deaglio, “La zia Irene e l’anarchico Tresca”,(Sellerio), un’ardita ricostruzione dei misteri che hanno accompagnato la nascita della nuova Italia dopo il fascismo. Romanzo distopico, l’azione si svolge nel futuro prossimo – tra la fine del 2021 e l’inizio del 2022 in un’Italia che l’autore immagina governata da tecnici e militari, percorsa da tumulti populisti e finti attentati; a CasaPound è stata assegnata una parte dell’ordine pubblico e due psicosi occupano la mente degli italiani: l’imminente invasione islamica, che si pensa avverrà fisicamente dalla foce del Tevere; e il prossimo crollo finanziario. Il protagonista, l’analista finanziario Marcello Eucaliptus, viene incaricato dai “servizi segreti patriottici” di proteggere l’unica persona che può ancora salvare l’Italia: il banchiere Amilcare Binack. “È bene che lei sappia, Eucaliptus, che abbiamo un obiettivo da perseguire. Qui stiamo facendo il possibile perché l’azione di Amilcare Binack abbia successo. Ma purtroppo abbiamo molti nemici. Amilcare Binack non solo rischia di fallire, ma rischia la vita». Eucaliptus girò la testa prima a sinistra, poi a destra, per cogliere le espressioni sulle facce dei suoi colleghi. Gli sembrarono tesi, consci di una situazione difficile. Amilcare Binack era il grande banchiere cui era stato affidato il compito immane di salvare la finanza italiana. Negli ultimi anni, i continui crac e salvataggi avevano portato il paese sull’orlo del precipizio: se ci fossimo caduti ci saremmo risvegliati all’età della pietra. Le banche stavano appese a un filo, anche se i governi cercavano di tranquillizzare. Tutto era cominciato con il fallimento di una serie di piccoli istituti di credito, che per anni avevano falsificato i bilanci per coprire ammanchi piuttosto notevoli. I risparmiatori erano scesi in piazza, le «banchette» erano state salvate da cospicue iniezioni del governo, che però si erano scaricate in tasse per i cittadini. Ma l’infezione ben presto si era dimostrata più grossa e aveva coinvolto i grandi istituti di credito. Il buco – che qualche buontempone, all’inizio, aveva chiamato «crediti inesigibili» o «crediti deteriorati», come se fossero una partita di yogurt scaduti sugli scaffali di un supermercato – si era rivelato grande come il Grand Canyon: il «nero sbadiglio della bestia feroce», come si era espresso Papa Francesco. Migliaia di miliardi di dollari erano stati inghiottiti negli anni, spostati verso paradisi fiscali, ridistribuiti su hedge funds. Avevano finanziato guerre, elezioni, i costosissimi vizi di quel famoso un per cento della popolazione che possedeva il 99 per cento delle ricchezze del pianeta, diffuso il razzismo. Il risparmio era stato tradito, i malfattori avevano vinto, e avevano abbastanza soldi per pagarsi i media, i politici, la polizia. Il denaro si era separato dal lavoro, il fisco dal governo, la fiducia dalla democrazia. L’ultima speranza era lui, Amilcare Binack. Un altro banchiere, naturalmente: giovane, esperto, sponsorizzato ufficialmente dal cartello degli emiri del Golfo. Aveva presentato un piano di fusioni bancarie e di «rientro». Aveva, in sostanza, promesso di riportare a casa una massa enorme di denaro nero, sporco, illegale, mai tassato, che avrebbe fatto da garanzia internazionale. Con questo lo Stato avrebbe potuto pagare pensioni e un reddito di cittadinanza per i milioni di disoccupati da robotizzazione. Ovvio che si facesse il tifo per lui. Ovvio anche che fosse in pericolo di vita. Riusciranno i nostri eroi a salvare Amilcare Binack? La trama si infittisce, il banchiere è scomparso, i nostri servizi scoprono che è prigioniero in Svizzera e che sta per essere trasportato a Milano. Lo vogliono impiccare al monumento più simbolico del capitalismo mondiale, il “fuck you” di Maurizio Cattelan… Una turbolenza e poi un grosso vuoto d’aria segnalarono che il Cessna aveva cominciato la discesa verso l’aeroporto di Linate. Di qui, velocemente, Martinez, Eucaliptus e Rita furono trasbordati in un Mercedes SUV che sfrecciò per viale Forlanini deserto. Erano le due e quarantacinque quando Martinez, all’interno di un furgone parcheggiato in piazza della Borsa con l’occhio incollato a uno degli spioncini, annunciò a bassa voce «Tenersi pronti: arrivano» e digitò la stessa consegna sul cellulare. Un uomo aveva attraversato la piazza deserta. Si era posto tra il palazzo e il Dito e aveva srotolato una corda. Con il movimento del lazo la fece passare intorno alla base del dito medio; in quel momento, altri due uomini uscirono dal nulla portandone un terzo che trascinava i piedi. Gli passarono il cappio intorno al collo e cominciarono a issarlo. Martinez saltò fuori con lo scatto di un vecchio gatto, Rita e Marcello si dimostrarono più agili di quanto loro stessi pensassero. La corda venne trinciata da un grosso coltello che Martinez aveva assicurato con il nastro adesivo alla tibia. Amilcare Binack respirava: sarebbe stato in ufficio il lunedì, con un bel dolce vita a coprire le escoriazioni sul collo. La piazza era di nuovo deserta, c’erano stati pochissimi rumori: nessun grido, solo scalpiccio. E se qualcuno si fosse affacciato alla finestra di quel complesso di soli uffici – un guardiano notturno, per esempio –avrebbe pensato che un ubriaco che voleva arrampicarsi sul dito medio di Cattelan era stato portato a casa dai suoi amici. «E anche questa è fatta», disse Martinez. “Certo che Amilcare Binack è pura fantasia!” dice Deaglio. “Ma vorrei quasi che ci fosse! E soprattutto che qualcuno lo salvasse. Quando si scrive una storia distopica, il rischio è che la realtà superi la fantasia, prima che il libro esca. Pensi a che cosa è successo negli ultimi mesi: un governo sovranista, un documento segreto che prevede di non pagare il debito e quindi uscire dall’euro tra un venerdì e un lunedì, il presidente della Repubblica che annuncia l’esistenza di un colpo di stato finanziario e rischia l’impeachment, un ragazzo che fa il vicepremier che annuncia che “il popolo difenderà la finanziaria del popolo”, un vecchio banchiere dalle idee molto pericolose, un energumeno (l’altro vicepremier) che ha trovato il nemico nell’ebreo Soros…. Sì, ci sono tutti gli ingredienti per il disastro.