Su 91 annunci di Uber per nuove posizioni come autisti, solo uno era rivolto alle donne
Negli Stati Uniti l’American Civil Liberties Union ha protestato contro Facebook, accusata di aver consentito a circa 15 inserzionisti, tra i quali Uber, di pubblicare annunci rivolti solo agli utenti uomini. Secondo un’indagine di ProPublica, su 91 messaggi esaminati pubblicati dalla compagnia di trasporti volti ad aumentare il numero di autisti, solo uno è rivolto alle donne e tre non hanno distinzioni. Tutti gli altri invece sono stati indirizzati esclusivamente agli uomini. Così come solo agli uomini era rivolto un annuncio della Polizia della Pennsylvania per reclutare nuovi agenti.
L’American Civil Liberties Union, associazione per la difesa dei diritti civili, ha protestato definendo le pubblicità «illegali». Si rifà infatti a una sentenza della Corte Suprema del 1973, che vieta ai giornali di pubblicare annunci con esplicite distinzione tra uomini e donne. L’organizzazione ha presentato un reclamo alla Equal Employment Opportunity Commission, la commissione per le pari opportunità. Potrebbe essere il primo passo verso una causa.
Un portavoce di Facebook si è detto pronto a rispondere al reclamo, affermando che per la società «non c’è posto per la discriminazione».
La capacità di indirizzare gli annunci verso un pubblico specifico, seguendo le indicazioni degli inserzionisti, è però un punto di forza della piattaforma. E non è la prima volta che ProPublica solleva il tema. L’organizzazione aveva già protestato nel 2016 contro la possibilità che Facebook concedeva agli inserzionisti di escludere dagli annunci di lavoro gli utenti sulla base della propria etnia. E nel 2017 ha indicato un problema simile, che questa volta avrebbe tagliato fuori i lavoratori più anziani.
«Dopo le nostra segnalazione – spiega ProPublica – Facebook ha rimosso la possibilità per gli inserzionisti di escludere determinate categorie di persone in base a razza, religione e nazionalità. Ma non ha apportato cambiamenti simili su età e sesso». Il social network, infatti, ha contestato le accuse a monte. In un post del 2017 rispondeva così: «Detto questo, mostrare semplicemente determinati annunci di lavoro a fasce d’età diverse su servizi come Facebook o Google potrebbe non essere di per sé discriminatorio». Un principio che varrebbe anche per il genere.
Gli inserzionisti coinvolti si sono difesi in diversi modi. Il comune di Omaha si è scusato, dicendo che «non accadrà più». Si sarebbe trattato di un errore involontario, dovuto al fatto che a gestire le campagne social è «solo una persona». Uber ha affermato che «la piattaforma è disponibile per chiunque sia qualificato, indipendentemente dal sesso». Secondo la società guidata da Dara Khosrowshahi, non ci sarebbe una discriminazione perché vengono utilizzati «diversi canali, sia offline che online». Facebook, quindi, copre i maschi ma sarebbe solo un tassello del reclutamento. Alcune imprese, come T-Mobile e Boeing, sembrano rivolgersi solo alle donne per tentare di bilanciare l’eccessiva presenza maschile nel settore ingegneristico. Ma sembrano essere eccezioni. Gli annunci segnalati da ProPublica tendono ad ampliare il divario di genere: provengono infatti da settori dove c’è già una forte maggioranza di uomini: sviluppo software, trasporti, forze dell’ordine.
La Stampa