(di Cesare Lanza per LaVerità) Scommettiamo che in questi giorni diventa più acuta la nostalgia di chi ha vissuto vacanze diverse? Ho chiesto ad alcuni amici una riflessione personale. Dopo lo struggente ricordo di Corrado Calabrò sulla sua infanzia in Calabria, oggi accogliamo Alessandra Necci, scrittrice premiatissima e giurista: conoscete la sua firma, pubblica le sue rievocazioni storiche anche sulla Verità. Scrive Alessandra: «Da sempre, l’estate è la mia stagione preferita. Da bambina, la attendevo con un senso di aspettativa persino superiore al Natale. In parte per via delle vacanze scolastiche, in parte perché era la stagione dei compleanni (mio, di mio padre, di amiche e amici) e delle feste all’aperto. E, naturalmente, per il mare, la luce e il grande senso di libertà. C’è un suono che mi fa pensare subito all’estate ed è il frinire fortissimo delle cicale fra i pini. E un gioco d’infanzia, la caccia al tesoro che organizzavamo con i miei cugini in giardino, nella nostra casa al mare, per il mio compleanno. Molte cose sono successe, da allora, non sempre belle. Ma io sono rimasta fedele alle mie passioni, e il canto di una sola cicalafra i pini di Roma ha il potere di evocare ogni estate felice di un tempo». Vorrei aggiungere un inaio ricordo, meno poetico, che mi torna in mente quando vedo insopportabili bambini – viziati, coccolati – che rifiutano pietanze meravigliose, e non vogliono mangiare questo e quello. Negli anni Cinquanta – la guerra era finita da poco – osterie e trattorie accettavano clienti che si portavano da casa il cibo: c’era solo l’obbligo di ordinare qualcosa da bere. Mia madre preparava per noi pagnotte con la frittata; e quant’erano buone!»