Frena il progetto della Web Tax europea. E ora gli Stati favorevoli sono pronti ad avanzare in ordine sparso. Chi vuole si farà la sua, in attesa che arrivi una proposta globale sotto l’ombrello dell’Ocse. Ieri il segretario generale Angel Gurria era a Sofia per partecipare all’Ecofin e ha annunciato che il report atteso per il 2020 sulla tassazione del digitale sarà anticipato al 2019. Dando così una ragione in più a quei governi che non vogliono l’imposta suggerita dalla Commissione Ue e preferiscono una soluzione globale.
Il ministro francese Bruno Le Maire, primo sostenitore della Web Tax, ieri è intervenuto per ultimo al tavolo dell’Ecofin ed è sbottato: «Volete presentarvi alle prossime elezioni con il messaggio “abbiamo discusso molto, ma non abbiamo deciso nulla?” Auguri». Chi ha assistito alla scena parla di una «rabbia fredda» dell’uomo di Macron, che ha chiesto «una prova di forza» all’Europa. Secondo fonti diplomatiche, gli Usa starebbero facendo pressioni su alcuni governi proprio per ostacolare il progetto della Web Tax europea. E anche la Germania, tra i promotori dell’iniziativa, ora ha una posizione molto più defilata. Ieri i ministri economico-finanziari hanno discusso per la prima volta la proposta presentata un mese fa da Bruxelles. Ma le distanze tra i governi restano ampie, con un gruppo di Paesi contrari (Malta, Lussemburgo, Irlanda, Olanda, Danimarca, Svezia e Finlandia), a cui si è aggiunto anche il Regno Unito.
Non vogliono mettere in pratica la soluzione a breve termine lanciata dalla Commissione Ue, che prevede un’imposta del 3% sul fatturato delle multinazionali del web che hanno un volume d’affari globale superiore ai 750 milioni di euro, di cui 50 all’interno dell’Ue. «È abbastanza complicato, noi siamo molto cauti» dice il ministro delle finanze maltese, Edward Scicluna.
L’Olanda, provocatoriamente, fa due conti: «Le stime della Commissione – dice il segretario di Stato Menno Snel – prevedono un’entrata di 5 miliardi di euro l’anno, mentre l’Iva persa nell’intera Ue, per colpa di frodi o mancata riscossione, è pari a 150 miliardi l’anno: non sarebbe meglio concentrarsi su questo?». Il commissario Ue Pierre Moscovici ammette che «oggi non c’è consenso», ma insiste per un accordo «entro la fine dell’anno». A riportarlo con i piedi per terra, lo slovacco Peter Kazimir: «Dubito si possa fare presto, trovare un consenso non è facile. Noi siamo pronti a introdurre un’imposta a livello nazionale».
Stessa cosa farà la Spagna. Lo ha annunciato a Sofia il neo-ministro Roman Escolano: la «tassa Google», così la chiamano a Madrid, entrerà in vigore nel 2019 e servirà a finanziare le pensioni. L’Italia potrebbe riprendere il cammino abbandonato solo temporaneamente per via delle elezioni. Pier Carlo Padoan ha definito «artificioso» il dibattito scatenatosi tra alcuni sui colleghi e dice che in Europa «è tempo che si passi ai fatti». Ma ha lasciato intendere che l’Italia dovrebbe andare avanti con la sua imposta nazionale. «Mancano solo i decreti attuativi» per renderla operativa: spetterà al prossimo governo firmarli. Avanti in ordine sparso, dunque. Il che sembra allontanare anche la prospettiva di una cooperazione rafforzata, attraverso un accordo europeo solo tra i Paesi favorevoli.
La questione della Web Tax si intreccia con il delicato momento che stanno vivendo le relazioni transatlantiche, in vista della decisione Usa sui dazi. A Sofia c’è chi ha evocato il rischio di un’escalation con Washington, scenario da evitare. «Un’imposta di questo tipo – dice il lussemburghese Pierre Gramegna – deve essere discussa con gli americani».
Marco Bresolin, La Stampa