Pure all’istituto tecnico commerciale Vespucci di Livorno si è cercato di rispondere all’exploit di richieste: «Gli studenti che frequentano il corso di cinese», dice la prof. Costanza Ramazzo, «sono un centinaio ed in classe vedo grande motivazione e curiosità».
A Milano il liceo classico Tito Livio, partito con una sezione, ha dovuto raddoppiare ed ha aggiunto esercizi di calligrafia e logogrammi. Mentre a Roma, al liceo scientifico di piazza Monte Grappa è stato avviato il quinquennio e «per approfondire lo studio della lingua e della cultura cinese, dice il prof Paolo Reale», gli alunni, dalla prima alla quarta classe, svolgono un soggiorno-studio obbligatorio in Cina». Per complimentarsi è venuto in visita il viceministro Zhang Fuhai: «Mi auguro che tra gli studenti di questo liceo vi siano altri Marco Polo per consolidare il ponte tra Italia e Cina».
Chi l’avrebbe detto, solo pochi anni fa, che nei licei italiani gli studenti avrebbero snobbato l’inglese privilegiando il cinese? Indubbiamente la Cina è davvero vicina. Nei pressi del bolognese liceo Righi, a Palazzo Fava, c’è la fila per visitare la mostra (organizzata dalla fondazione Cassa di risparmio) dell’artista cinese Zhang Dali, che oltre a dipinti e sculture propone una sua rielaborazione di foto di Mao e dei guardiani della rivoluzione. Tanta ressa per gustarsi un angolo del Dragone.
«Per scrivere e parlare la lingua cinese bisogna conoscere almeno 3 mila caratteri», dice Shi Chan Ye, «ma non è così ardua come sembra. Come noi impariamo l’italiano, voi potete imparare il cinese. Tra l’altro un tempo si scriveva in verticale, da destra verso sinistra, perché il supporto di scrittura più utilizzato era la canna di bambù. Oggi invece scriviamo allo stesso modo vostro».
Chan Ye è uno degli 845 (!) studenti cinesi iscritti all’università di Bologna. La maggior parte utilizza una specie di Erasmus, cioè un accordo tra università dei due Paesi, supportato dall’Istituto Confucio, che ha sede proprio all’interno dell’ateneo. Altrettanti studenti partono da Bologna per Pechino. Dice Marina Timoteo, che dirige l’Istituto insieme al collega Xu Ying: «È boom di coloro che vogliono imparare il cinese.
Innanzitutto studenti, ma anche imprenditori che fanno affari con la Cina o appassionati di cineserie».
L’Istituto Confucio fornisce anche gli insegnanti al liceo scientifico Fermi: pure qui è stata formata una classe che studia, come lingua estera, il cinese. «Abbiamo dovuto effettuare un sorteggio», afferma il preside, Maurizio Lazzarini, «perché vi sono state più richieste del numero dei posti a disposizione».
Una ricerca effettuata da Fondazione Intercultura e Ipsos ha censito nelle scuole italiane 17.500 ragazzi che studiano cinese. Nel 2009 erano 17 le scuole che prevedevano questa possibilità, ora sono 279. Il cinese è la seconda lingua citata dagli studenti, dopo l’inglese e prima di spagnolo e tedesco, come strumento ritenuto importante per il proprio successo futuro. E il 41% di chi lo studia lo ha inserito tra le materie volontarie dell’esame di maturità. Inoltre la Cina è ormai la mèta lontana più ambita per l’anno di studio all’estero, dopo gli Stati Uniti.
Commenta Roberto Ruffino, segretario generale di Intercultura: « Cresce il numero di scuole interessate al cinese, ma se pensiamo all’importanza che ha questo Paese, si potrebbe fare di più. Le difficoltà sono tante. Non si improvvisano centinaia di insegnanti di cinese, non è facile trovare docenti qualificati, così la domanda supera l’offerta».
Tanto interesse ha finito per smuovere anche il ministero: nel novembre 2016, con la revisione delle classi di concorso e di abilitazione è stato creato un primo contingente di insegnanti abilitati all’insegnamento della lingua cinese.
Così al liceo linguistico Manzoni di Milano il cinese ha potuto essere proposto come terza prova scritta più l’orale all’ultimo esame di maturità.
Ma il record appartiene al liceo classico Plinio Seniore di Castellammare di Stabia, dove sono ben 500 i ragazzi che studiano il cinese, tanto che è stato sottoscritto un protocollo di collaborazione con una scuola di eccellenza di Shanghai (Ganquan Foreign Languages School).
Chi ha deciso di cavalcare per prima questa ondata è la cinese Tiffany Liu, che a Tortoreto (Teramo) ha deciso di aprire una scuola, Dandelion, Dente di leone. Dice: «La scuola non vuole limitarsi a insegnare la lingua ma anche diffondere la cultura e le abitudini cinesi».
Insomma in tantissimi si ritrovano sui banchi per imparare il cinese. Forse più di una moda. Diceva Nelson Mandela: «Se parli a un uomo nella lingua che comprende, arriverai alla sua testa. Se gli parli nella sua lingua madre, arriverai al suo cuore».
Carlo Valentini, ItaliaOggi