Dall’ultima indagine Almalaurea risulta che a tre anni dalla laurea il tasso di occupazione raggiunge l’82% tra i laureati quinquennali e l’83% tra quelli biennali. Ma la retribuzione dopo un anno è di 1100 euro
Laureati: occupati ma poveri. Lo certifica Almalaurea, l’organismo gestito da quasi tutte le università italiane per realizzare ricerche statistiche ma anche cercare di mettere in contatto offerta (attraversi i curriculum dei neolaureati) e domanda (i posti disponibili nelle aziende) di lavoro. L’ultima indagine riguarda 71 università e 620 mila laureati dal 2011 a oggi. Risulta che a tre anni dalla laurea il tasso di occupazione raggiunge l’82% tra i laureati quinquennali e l’83% tra quelli biennali.
Occupati sì, ma come? La retribuzione percepita dai laureati ad un anno dall’assunzione risulta attorno ai 1.100 euro netti mensili, con poca differenza tra laureati biennali e quinquennali. E’ stata anche effettuata un’analisi delle retribuzioni a cinque anni dal conseguimento del titolo e la retribuzione mensile netta è inferiore ai 1400 euro.
L’impoverimento del lavoro (anche con la laurea) è connesso alla sua trasformazione. Incide anche l’automatizzazione spinta e l’avvento dei robot? Luciano Floridi, docente di filosofia ed etica della comunicazione all’università di Oxford, spiega: “La generazione attuale vivrà sulla propria pelle l’accelerazione dell’automazione. La società dovrebbe farsi carico del costo che questa operazione comporterà. Dovrebbe pensare ad ammortizzatori sociali per esempio per chi, a 50 anni, verrà rimpiazzato da un robot. Sulla bontà della trasformazione, tuttavia, non ho dubbi. La robotica l’abbiamo cercata e voluta da sempre. Ma la partenza di questo “razzo” dell’innovazione è così rapida che ci sarà molta gente che non troverà più un’occupazione pur se contemporaneamente l’l’Unione europea prevede che, nel 2020, potrebbero esserci da 730.000 a oltre 1,3 milioni di posti di lavoro vacanti nel settore delle tecnologie”.
Floridi è intervenuto a Nobìlita, una due giorni (all’Opificio Golinelli di Bologna) sulle trasformazioni nel mondo del lavoro, aperta ieri da una videoconferenza del presidente dell’Inps, Tito Boeri. E’ stata presentata una ricerca realizzata da Fondazione Marco Biagi e FiordiRisorse su come sta cambiando il modo di valutazione del lavoro da parte delle imprese (vi hanno partecipato 143 aziende e 1250 lavoratori). Il 62% delle imprese dichiara che il criterio più utilizzato per valutare la prestazione dei propri lavoratori è la qualità del risultato, cioè del prodotto finale, contano assai meno il fattore tempo e le competenze teoriche. Fino a ieri invece il tempo risultava il fattore predominante.
Commenta il sociologo (collabora con la Fondazione Giuseppe Di Vittorio) Vincenzo Moretti: “In tempi di impieghi scarsi, precari e mal pagati, celebrare il lavoro ben fatto può sembrare insensato e inopportuno. Invece parlare di lavoro ben fatto, e valorizzarlo proprio ora, implica che ogni lavoro sia importante e possa avere una dignità, una qualità e un valore e che questo valore vada retribuito. Dobbiamo incamminarci su questa strada”.
Per questo lui ha redatto il “Manifesto del lavoro ben fatto”: “Qualsiasi lavoro, se lo fai bene, ha senso. Ciò che va quasi bene, non va bene. Va ripensata la relazione esistente tra la capacità di innovare, di competere e di conquistare spazi di mercato e il riconoscimento sociale del valore del lavoro, la possibilità che chi lavora abbia una vita più ricca e consapevole. L’apprendimento per tutto il corso della vita sono una componente essenziale non solo dei processi di emancipazione delle persone ma anche della capacità di attrarre e di competere delle imprese, delle pubbliche amministrazioni, dei territori dei diversi Paesi”.
Solo bella teoria? Si vedrà. Cosa risponde un sindacalista pragmatico e innovatore come Marco Bentivogli, segretario Fim-Cisl? “Il lavoro è la grande questione del nostro tempo. Le retribuzioni basse e quindi la necessità di riconoscere al lavoro una funzione sociale, l’automazione che a volte serve ad espellere lavoratori più che a razionalizzare la produzione, la valutazione delle prestazioni sono tutte tematiche che stiamo affrontando anche nel rinnovo dei contratti. Ma, per favore, non perdiamo di vista il fatto che nel nostro Paese, come hanno dimostrato i recenti risultati elettorali, c’è una questione-lavoro legata al Sud di cui nessuno si occupa. Si può ritenere che una Jeep Renegade pensata in Italia e prodotta a Melfi debba arrivare a Napoli perché a Salerno il porto non è adeguato? Si può issare la bandiera della decarbonizzazione delle fabbriche siderurgiche, per cui serve tanto gas e bloccare la Tap, cioè il nuovo gasdotto internazionale? Si possono rallentare fino allo stop la realizzazione della Academy aziendali, fondamentali per radicare nel territorio le competenze? Stiamo coi piedi per terra e rimbocchiamoci le maniche”.
Un richiamo alla realtà, tra tanti summit accademici sul lavoro, non guasta. Con un pizzico di ottimismo proposto a Mobìlita da Luca Tomassini, ceo di Vetrya, multinazionale tascabile italiana specializzata in servizi digitali: “È un’occasione unica, quella di questo tempo, della quale non possiamo che essere entusiasti. Vivere in un’epoca come questa, che sarà madre del futuro, non capita a tutte le generazioni “.
Carlo Valentini, ItaliaOggi