Il bimbo che visse in un film amò sua moglie come la vita
Stregò Fellini entrando nell’Olimpo del cinema italiano «in uno stato di perpetua infanzia». La sua magia conquistò le donne più belle, che non cancellarono mai Flora
(di Cesare Lanza per LaVerità) Quando i miei amici e io eravamo ventenni, e impertinenti, Marcello Mastroianni era già famoso. Di più! Era un mito, come si diceva anche allora per enfatizzare l’entusiasmo. Aveva già girato La dolce vita, il capolavoro di Federico Fellini, e rappresentava quello che noi ragazzi avremmo desiderato essere: seppi poi che era un desiderio condiviso anche dal regista. Forse a Fellini sarebbe piaciuto essere un attore simile a Marcello, per noi invece era il personaggio a conquistarci: seduttivo con le donne, ma popolarissimo anche preso il pubblico maschile.
Una volta lo incontrai per caso in zona San Giovanni, in via Gallia, dove un mio zio aveva una farmacia e io ero spesso suo ospite a Roma (abitavo a Genova). Seguii affascinato Mastroianni per cento metri sperando che entrasse in farmacia. Invece lui proseguì, guardandosi intorno come se avesse un appuntamento con una donna, infine entrò in un bar. Che potevo fare? Lo seguii. Lui, accolto come il divo che ormai era, chiese un caffè e disse qualcosa sorridendo al vecchio barista. Ero emozionato. Mi avvicinai, gli dissi che collaboravo a Tuttosport, che avevo intervistato nientemeno che Alfred Hitchcock, trovato in piazza di Spagna. «Accidenti», mi rispose, «neanche sapevo che era a Roma». Incoraggiato dalla sua cortesia, balbettai – più o meno – se potevo intervistarlo. Aveva un sacchetto pieno di gettoni, si diceva che fosse un maniaco del telefono. Sempre cortese, rispose: «Ma certo! Cercami quando vuoi», e se ne andò. Feci alcuni tentativi, in seguito, ma non riuscii a trovarlo. Ma la sorte era dalla mia parte. Un paio d’anni dopo mi ero trasferito a Roma e con un gruppo di amici lo incrociammo nel quartiere Prati. Nel nostro gruppo c’era un ragazzo coatto, sfrontato. Gli urlò: «Ammazza quante bonazze te sarai fatto, Marcè!». E, incurante dell’imbarazzo di tutti, aggiunse: «La Eccheberghe è stata a mejo, eh, Marcé?». E così verificai personalmente un’altra sua qualità: detestava la volgarità. Con uno sguardo gelido e un cenno del capo ci salutò e se ne andò.
Era nato a Fontana Liri, in provincia di Frosinone all’anagrafe Marcello Vincenzo Domenico Mastroianni – il 28 settembre 1924. Morì a Parigi, 72 anni dopo, il 19 dicembre 1996. L’origine era umile: il padre, Ottorino, era un semplice falegname: antifascista, faticava a trovare un lavoro stabile. La madre, Ida Irolle, casalinga, badava ai due figli: Marcello aveva un fratello, Ruggero, più giovane di cinque anni. La famiglia, per necessità, da Roma era stata obbligata a trasferirsi a Firenze e Mastroianni, prima di far l’attore, lavorò come disegnatore tecnico, dopo essersi diplomato perito edile. A 26 anni si sposò con Flora Carabella, l’unico vero grande amore della sua vita. Un legame d’acciaio: si separarono vent’anni dopo, nel 1970, ma non divorziarono mai. Flora sopportò senza drammi le innumerevoli avventure del marito (spesso clamorosamente pubbliche) e Marcello la considerò un riferimento inviolabile. Ebbero una figlia, Barbara, un anno dopo le nozze. Marcello fu padre una seconda volta nel 1972: ancora una femmina, Chiara, avuta da Catherine Deneuve.
Mastroianni debuttò nel cinema, con una particina (interpretava un rivoluzionario), nel film I miserabili, di Riccardo Freda, nel 1948. In Italia una vera affermazione arrivò dieci anni dopo, nel 1958, con I soliti ignoti di Mario Monicelli. A ruota, nel 1960, il successo internazionale, grazie a La dolce vita e, tre anni dopo, a 8 e 1/2 del grande Federico Fellini.
L’incontro con Fellini fu un capitolo decisivo per Mastroianni. Si conobbero a Fregene nel 1958, il regista propose a Marcello il ruolo del reporter mondano per il suo capolavoro. Raccontò Mastroianni: «L’incontro avvenne a Villa dei Pini. C’era anche Ennio Flaiano. Fellini mi parlò, in termini molto vaghi com’era abituato lui, del film e del ruolo che intendeva affidarmi. Io gli chiesi: “Posso vedere il copione?”. E lui: “Ennio, fagli vedere il copione”, disse a Flaiano. Flaiano mi porse una cartella: dentro c’era soltanto un disegno pornografico, che raffigurava un uomo dal sesso spropositato e creature marine che gli nuotavano intorno, come in un balletto stile Esther Williams». E Fellini, in un libro di memorie, scrisse: «Marcello è un compagno di banco. Fra noi c’è un’intesa non pretenziosa, un’amicizia vera basata su una totale reciproca sfiducia rispetto agli obblighi, ai doveri, alla retorica dell’amicizia. Con lui l’amicizia non è qualcosa di impegnativo, di etico: è un vivere insieme, un trovarsi, un partecipare agli stessi scherzi, agli stessi imbrogli, alle stesse bugie. È un vero attore. Prima di un film, chiacchieriamo un pochino, quel tanto che basta a intenderci sul fatto che stiamo partendo insieme per un altro viaggio». Fellini era notoriamente «innamorato» degli attori che dirigeva. Ma con Mastroianni il legame era molto più profondo. Una giornalista di Repubblica gli chiese perché e il regista rispose: «Forse, al di là del suo talento, della sua affettuosa disponibilità, della sua modestia, c’è il fatto che lui mi dà la sensazione di avere a che fare con un amico ideale… Ha rappresentato in maniera più o meno autobiografica, tic, emozioni, comportamenti del suo autore: per me è come vedere la mia immagine in uno specchio, pronta in ogni momento a uscire dalla cornice e stringerti la mano per andare via insieme. Non ci vediamo mai fuori dai film che giriamo insieme. Forse proprio per questo il nostro rapporto è saldissimo: è il rapporto di due personaggi che vivono solo dentro l’alone magico di un riflettore. E questo conferisce al tutto una gran leggerezza, perché è tutto un po’ fantastico, un po’ inventato. La nostra amicizia si è nutrita, negli anni, di questa bellissima incorporeità… Nel mio ufficio di Cinecittà, in certe giornate, mi capita anche di annoiarmi. Oziosamente, mi affaccio alla finestra e, se vedo che Marcello è lì, non resisto alla tentazione di raggiungerlo, di ricorrere alla familiarità vitale della sua amicizia. Magari non abbiamo niente da dirci, è solo il piacere di stare insieme, come due soldati in libera uscita».
Il primo trionfo dei due fu La dolce vita, che segnò una svolta nella storia del cinema. C’era un cast formidabile: Anita Ekberg, Yvonne Furneaux, Anouk Aimèe, Alain Cuny. Alcuni episodi intrecciati narrano la «dolce vita» romana, tra gli anni Cinquanta e Sessanta. Indimenticabile la scena della Ekberg che fa il bagno, di notte, nella Fontana di Trevi. Come a volte succede ai capolavori, l’esordio fu disastroso: la prima venne fischiata e Fellini addirittura fu il bersaglio di sputi e insulti. Era accusato di essere un detrattore della borghesia e dell’aristocrazia: un comunista, un ateo. Ma poi ebbe la Palma d’oro a Cannes e una valanga di altri premi, Mastroianni invece il Nastro d’argento come miglior attore protagonista. Marcello lavorò in teatro anche con Luchino Visconti, nel cinema con Pietro Germi, Mario Monicelli, Marco Ferreri, Mauro Bolognini, Vittorio De Sica e si impose come il miglior attore drammatico italiano dell’epoca. Con un successo che eguaglia quello di Alberto Sordi, comico, e di Vittorio Gassman, sospeso tra teatro e commedia.
La sua vita privata era caratterizzata dalle storie sentimentali. «Le donne», confidò candidamente, «sono un motore straordinario. Io ho bisogno di una donna per lavorare, per pensare, per vivere. Se non ce l’ho e sono solo, valgo la metà». Ma quali donne e quali storie? Impossibile ricordarle tutte, ecco le principali. Il primo amore fu Silvana Mangano. Frequentavano corsi di recitazione insieme, abitavano nello stesso quartiere a Roma, San Giovanni. Lei aveva 16 anni, lui 22. Una breve e dolce storia, la Mangano la ricorda così: «Marcello non l’ho mai dimenticato, anche perché una volta, mentre ci baciavamo su una panchina, sorprese un guardone, gli tirò un pugno, quello si scansò… e Marcello colpì un tronco d’albero. Così ogni volta che quel pollice gli ha fatto male si è ricordato di me». Altro amore importante, con l’attrice americana Faye Dunaway. Si erano conosciuti sul set del film di Vittorio De Sica, Amanti. Durò poco, solamente due anni: Faye disse basta, stufa di condividerlo con altre donne. Poi la Deneuve: un amore passionale. Si incontrarono sul set de La cagna, subito nacque una figlia, Chiara. Dopo due anni la rottura e il ritorno di Marcello dalla moglie. Ma Catherine resterà nella sua vita, come madre della sua seconda figlia, anche perché la straordinaria Flora la trovava simpatica e disponibile.
Infine, Sophia Loren. Con un mistero: Marcello fu l’amico di sempre o qualcosa di più? I due, con De Sica, formavano un trio speciale, affiatato. Sophia racconta: «È l’uomo che ho avuto accanto nei momenti più belli. Tenero, sensibile, divertente. Indimenticabile. Ci siamo incontrati in un film di Alessandro Blasetti, Peccato che sia una canaglia, sceneggiato da Suso Cecchi D’Amico, e subito c’è stata la scintilla. Ci completavamo a vicenda: una fusione naturale, spontanea». Primo incontro nel 1951, poi insieme in ben 12 film. Mastroianni affermò di considerare Sophia come una vera e propria sorella minore per il rapporto affettuoso che si era creato. Un po’ poco? Intervistai la Loren e la incalzai su questo argomento. Lei, molto dialettica rispose così: «Quante ne vuole sapere! Diciamo così: scherzetti. Momenti di allegria, di innocente complicità: tra due persone che si sono piaciute subito e hanno continuato a piacersi molto, per tutta la vita».
L’ultimo amore fu Anna Maria Tatò, che gli è stata accanto nella malattia e nel momento dell’addio, pochi giorni prima del Natale 1996. Con lei, a metà degli anni Novanta, realizzò un cortometraggio autoritratto dal titolo Mi ricordo, sì io mi ricordo, considerato una sorta di suo congedo spirituale. «La mia è una professione particolarmente fortunata», diceva, «sono in uno stato di perpetua infanzia. È come giocare a guardie e ladri per tutta la vita. Non capisco quegli attori che dicono di non voler fare più di un film all’anno. Cosa fanno intanto, vanno in piscina?». Seduttivo, ma a volte irraggiungibile. Ha detto Ainouk Aimée: «Mastroianni mi prometteva che prima o poi avremmo fatto l’amore… “Abbiamo atteso 35 anni, possiamo aspettare un altro po’”, scherzava lui, appena mi incontrava». Flora Carabella: «Sai che diceva Marcello? “T’ho sposato perché a casa tua c’era sempre il frigorifero pieno”. Tornavamo dal cinema, da fidanzati, e salivamo a mangiare. Quarantasei anni di matrimonio. Il segreto? Affetto, amicizia e stima. E una parola magica: abbozzare, sopportare i vizi del maschio italiano. Soltanto quando Catherine rimase incinta, io gli dissi: “Marcè, forse è meglio chiudere, separarci”. Ma lui minimizzava, ripeteva sempre che la sua casa era a Roma». E Nino Manfredi: «Ci eravamo innamorati tutti e due di Flora. Io volevo dichiararmi, ma lui lo fece prima di me. E me la soffiò per tutta la vita». E lui, di questo cosa diceva? «Tutti matrimoni si logorano, tanto vale conservare il primo e l’unico, soprattutto con una moglie come Flora, intelligente e sapiente, sempre disposta a farmi credere che, qualunque passione mi travolga, la famiglia è sempre un’altra cosa».