All’età di 82 anni è morto Piero Ostellino, direttore del Corriere della Sera dal 1984 al 1987, per cui ha scritto dal 1967 al gennaio del 2015, ricoprendo il ruolo di corrispondente da Mosca dal 1973 al 1978 e da Pechino dal 1979 al 1980, nonchè di inviato speciale, editorialista e titolare della rubrica settimanale “Il dubbio”. Convinto liberale e garantista, contrastò sempre lo statalismo dirigista.
Nato a Venezia il 9 ottobre del 1935, Piero Ostellino si laureò a Torino in Scienze politiche, specializzatosi in sistemi politici dei Paesi comunisti. Nel 1963 fondò ia Torino il Centro di ricerca e documentazione “Luigi Einaudi” – di cui era rimasto presidente onorario -, e, un anno dopo, la rivista “Biblioteca della Libertà» che ha diretto fino al 1970. Autore di numerosi saggi di carattere storico e politico, dopo aver lasciato la direzione del Corriere, dal 1990 al 1995 Ostellino fu direttore dell’Ispi, Istituto per gli Studi di Politica internazionale di Milano ed è stato membro del comitato scientifico dell’Università della Carolina del Nord.
Studioso ma sempre giornalista, Ostellino ha inciso con i suoi scritti anche in tempi recenti. Nel 2013, alcuni suoi articoli sul processo Ruby apparsi sul Corriere crearono un forte dibattito tra i lettori e nella stampa. Ostellino criticò apertamente i giudici per aver condannato in primo grado Berlusconi (sentenza poi annullata in appello) considerandoli mossi da “animosità politica”. Scriveva Ostellino: “Avere trasformato in prostitute – dopo averne intercettato le telefonate e fatto perquisire le abitazioni – le ragazze che frequentavano casa Berlusconi non è stata (solo) un’operazione giudiziaria, bensì (anche) una violazione della dignità di donne la cui sola colpa era quella di avere fatto, eventualmente, uso del proprio corpo”.
Una posizione che, come detto, divise il pubblico del Corriere e anche i colleghi. E che alla fine, nel marzo del 2016, gli costò la condanna in sede civile a risarcire due giudici con una sanzione da 140mila euro. Con la motivazione: Ostellino avrebbe dovuto fornire le prove di quanto affermato in articoli che avrebbero rappresentato “una vera e propria aggressione dei giudici del processo Ruby”. Ostellino non mancò di provare a difendersi, spiegando di non essersi eretto a difensore di Berlusconi ma di aver voluto difendere un principio: “Inaccettabile, in uno Stato di diritto, che per suffragare le accuse nei confronti di un uomo si siano monitorate centinaia di altre persone, finendo per infangarne la reputazione, quale essa sia o si presuma che sia”.
Da ricordare ancora, era l’ottobre del 2015, un altro articolo firmato da Ostellino, questa volta per Il Giornale, in cui il giornalista aveva correlato la sua uscita dal Corriere, nel gennaio precedente, all’ascesa al potere di Matteo Renzi. “A me – scriveva il giornalista – le iniziative costituzionali di Matteo Renzi ricordano la legge Acerbo, grazie alla quale il fascismo si trasformò in dittatura e Mussolini nel Duce”. Renzi, proseguiva Ostellino, è “poco incline alla democrazia parlamentare” e “si sta rivelando più pericoloso di quanto io stesso avessi previsto”. E non era un caso, secondo Ostellino, che lo stesso Ferruccio de Bortoli avesse lasciato la direzione del Corriere “dal quale sono stato spinto fuori io stesso” dopo un editoriale “nel quale manifestava una certa antipatia politica per Renzi“.
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