Sorpresa, tra gli alleati inconsapevoli di Trump alle elezioni del 2016 c’erano anche le case di moda. O meglio ancora i vestiti che ognuno di noi scegli la mattina, prima di uscire di casa. Sulla base di quello, come sa qualsiasi liceale in cerca della sua identità, è possibile identificare se una persona è di destra o di sinistra, se ha a cuore l’ambiente o no, se ha molti soldi oppure no, che cosa gli piace e cosa no, in che cosa crede, quali sono i principi e i valori a cui si ispira.
A rivelare come queste scelte banali hanno influito anche sulla campagna presidenziale del 2016 è stato però il whistblower Christopher Wylie, noto per aver rivelato il diffuso abuso di dati da parte del suo ex datore di lavoro, Cambridge Analytica.
Parlando al festival annuale delle BoF (Business of Fashion) Voices nell’Oxfordshire, Wylie ha rivelato per la prima volta l’esistenza di un algoritmo in grado di mostrare come le preferenze degli utenti per determinati marchi di vestiti sono state usate per aiutare a indirizzare questi stessi utenti con la messaggistica pro-Trump sui social, in particolare su Facebook.
Secondo i dati ottenuti (la maggior parte dei quali proviene dagli utenti statunitensi), alcuni fan dei marchi americani di denim come Wrangler, Hollister e Lee Jeans potrebbero essere più strettamente legati a bassi livelli di apertura e sfiducia – e quindi più propensi a interagire con messaggistica pro-Trump. Questi dati mostravano anche etichette di moda come Kenzo o Alexander McQueen tendenti a una base di fan più aperta e fantasiosa, che secondo Wylie si rivolgeva maggiormente ai tipici elettori democratici.
Il legame tra moda e psicologia non è una novità, ma questa, secondo Wylie, è la prima volta che viene sfruttato in modo così scientifico per influenzare il pensiero politico.
Alice Mattei, Business Insider Italia