Resta leader del centrodestra, ma apre a Di Maio e gli telefona: la Lega non sceglie. “Il ritorno al voto? Extrema ratio”
Dice di non smaniare per sedere a Palazzo Chigi «a ogni costo», ma già annuncia che il primo viaggio da premier lo farà in Cina e che lavora alla prima bozza di manovra economica. Conferma che la Lega non farà patti «al di fuori del centrodestra», però pensa a un programma (di governo) «che parta da quello del centrodestra ma sia aperto a contributi e proposte, senza stravolgimenti», così da potersi «arricchire e confrontare con gli altri partiti». Tutti? No: «Fatto escluso il Pd, sconfitto dalle elezioni, tutto è possibile».
Ergo, soluzioni responsabili che cerchino in qualche modo la maggioranza in Parlamento? No: «lavoriamo per una solida maggioranza politica, non recuperando questo o quel transfuga». Quindi, M5s? «Con loro c’è una differenza culturale di fondo, ma bisogna capire e approfondire la loro proposta, vedere quando dalle parole si passa ai fatti». Forse per cominciare a capirlo, ieri ha avuto un primo cordiale colloquio telefonico con Di Maio. Si parla anche di un appuntamento per mercoledì 21, ma prima nega il leghista e poi si accoda il grillino. Tutto smentito. L’appuntamento, non la telefonata. Quella c’è. Qualche particolare di quello che si sono detti lo rivela Di Maio: per amore della trasparenza, dice. «Ho ricordato a Salvini che il Movimento 5 Stelle è la prima forza politica del Paese, con il 32% dei voti, pari a quasi 11 milioni di italiani». Il succo è che vogliono la presidenza della Camera, «questo ci permetterà di portare avanti la nostra battaglia per l’abolizione dei vitalizi e tanto altro». Ascoltare Salvini e meditare sul nuovo-Matteo-pensiero – ieri nuova performance alla sala stampa estera – è un po’ come salire sull’otto-volante. Discese ardite e risalite che poco ancora dicono sul «nocciolo duro»: ovvero, dove voglia andare a parare. Se lo chiedevano ieri, all’indomani del vertice di Palazzo Grazioli, alla buvette di Palazzo Madama come a quella di Montecitorio senatori e deputati alle prese con i primi passi per l’insediamento della nuova legislatura. Anche il volto stralunato di Roberto Calderoli, che resta il candidato più autorevole alla carica di presidente del Senato (ne sa anche più dei funzionari, in fatto di regolamento), faceva capire che certe partite Salvini le sta giocando anche a prescindere dal bene della Lega: apparentemente a tutto campo, nella sostanza all’interno dello schieramento di centrodestra. Il leader leghista sembra ossessionato dalla necessità di rendere solida una leadership ottenuta nelle urne, ma che ancora stenta a farsi strada nello stesso centrodestra. È ciò che in gergo militare si definisce «fuoco di sbarramento»: una copertura sotto la quale si spera che il capo del Carroccio celi una visione di futuro condivisibile. I suoi razzi sono lanciati su tutto ciò che distingue, anziché unire, la coalizione vincente alle elezioni. In primis, il rapporto con l’Europa, la cui tela Berlusconi aveva riannodato certosinamente. E invece ancora ieri Salvini è tornato a parlare del possibile sforamento del tetto del 3%, «se serve per aiutare la crescita quello zero virgola non sarebbe un problema»; del presidente Juncker, «primo degli euroscettici che hanno governato l’Europa affamando i cittadini»; della Germania della Merkel «che non può dare lezioni, ma imparare a rispettare i vincoli europei sul surplus commerciale». E di rincalzo, in politica interna, ulteriori accentuazioni sulla politica fiscale, quella migratoria e sulla sicurezza (ergastolo per lo stupro, equiparato all’omicidio). Con una postilla che apre a una nuova legge elettorale, con premio di maggioranza. Se ne evince una strategia di bombardamento su ogni ponte attorno al centrodestra, salvo quello che porterebbe ipoteticamente alla forza sinergica dei Cinquestelle. Con il leader leghista impegnato, piuttosto, nel tentativo di «egemonizzare» il centrodestra prima che nuove elezioni (a primavera ’19) o un ritorno in campo in prima persona di Berlusconi possano riportarlo a ruoli subalterni. Non a caso, per ora, è proprio l’eventualità di una rapida chiamata alle urne quella che Salvini esorcizza come extrema ratio.
Roberto Scafuri,il Giornale