Il gruppo di Piazza della Croce Rossa è pronto alla conquista dell’Anas: il ceo delle Ferrovie di Stato spiega come si è sbloccato l’ultimo miglio, nessun rischio finanziario. La strategia globale da Amsterdam a Messina. E quel pensiero sul nuovo nome…
L’Anas passerà a breve sotto le Fs. Restava però ancora aperto il tema dei contenziosi che per la società delle strade erano pari a 10 miliardi.
«Per fine anno si chiude perché ritengo che verranno soddisfatte le condizioni poste nel decreto di trasferimento. Uno dei nodi era il fondo rischi per fare fronte ai contenziosi. Ma è stato superato perché la perizia, terminata il 22 settembre, ha evidenziato che la capienza del fondo dell’Anas consente di coprire il costo del contenzioso, che in genere si chiude attorno al 6-8% della richiesta originaria (il fondo ha una capienza di 600-700 milioni, ndr). In agosto il Cipe ha approvato il contratto di programma dell’Anas. È stato un passaggio chiave perché adesso l’azienda ha un orizzonte di cinque anni per gli investimenti. Insomma, non si naviga più a vista ma sul lungo periodo e Anas per i lavori che fa avrà un nuovo contratto che riteniamo consentirà l’uscita dal perimetro della pubblica amministrazione. Ora si tratta di integrare 24 mila chilometri di binari e 200 mila di strade, escluse quelle urbane».
Ma quali sono i vantaggi?
«Non dobbiamo pensare al cliente come l’utente che si muove solo con il treno, piuttosto al viaggiatore che vuole spostarsi. Il servizio da offrire è quindi la mobilità. Ma oggi, in Italia, l’80% delle persone si sposta ancora con l’auto privata. Noi dobbiamo aggredire quella percentuale. Per le merci, dobbiamo rivolgerci invece al 93% che avviene su gomma. Per questo serve una rivoluzione nei trasporti. E Fs la può attuare anche attraverso il digitale, che è poi il quinto pilastro del nostro piano».
Su cosa lavorate?
«Il digitale è un tema trasversale che investe tutto. Lì si gioca la competitività. Un esempio: le merci. Poter fare la dogana passante è fondamentale. E poi la guida autonoma. Il dialogo con la tecnologia a terra è importantissimo. Stiamo partendo con delle sperimentazioni, anche a Milano con il Politecnico. Il progetto più rilevante, e sarà davvero rivoluzionario, riguarda lo smartphone. Dobbiamo creare una app che si appoggi a una piattaforma integrata che consenta di pianificare il viaggio in treno, bus o aereo: un door to door vero che permetta di comprare un unico biglietto con un clic. È un problema molto complesso, perché in Italia l’ecosistema dei provider di mobilità è costituito da oltre 1.000 aziende con cui dobbiamo chiudere accordi commerciali per lavorare insieme e andare a catturare l’80% di mobilità privata. Puntiamo ad avere la app entro Pasqua. Siamo l’unica azienda presente in tutto il Paese, ci immaginiamo di essere il tronco di quell’albero che può promuovere questa mobilità condivisa: vorrei includervi anche i concorrenti sia su ferro sia su gomma, e gli aerei perché solo così tutti i viaggiatori la useranno».
La connessione con il wifi sull’alta velocità ha ancora problemi…
«I nostri treni viaggiano prevalentemente in aree che richiedono maggiore tecnologia per servire i clienti a bordo, per assicurare una buona connettività considerando che l’uso massivo degli smartphone richiede sempre più banda. Gli operatori telefonici insieme a Rfi stanno lavorando per adeguare entro il 2018 tutta la rete AV e le relative gallerie al 4G. Lavoriamo insieme alla sperimentazione del sistema 5G e ci auguriamo che sia data priorità anche alla copertura delle linee e dei nodi ferroviari metropolitani, dove viaggiano i pendolari che sono la maggior parte dei clienti. Ci sono due chance: o quando si danno le licenze per il 5G si prevede anche la connessione delle principali linee ferroviarie oppure si decide — e potrebbe farlo anche Rfi in accordo con il ministero — di fare un investimento specifico per questo. Il grosso dell’investimento andrebbe fatto sulle linee dei pendolari dove viaggia la maggior parte dei clienti. L’alta velocità è però un simbolo e dobbiamo iniziare a dare risposte. É una priorità».
Italo e le Frecce potrebbero essere concorrenti anche in Borsa?
«Abbiamo completato lo studio per valutare costi e benefici della separazione dei treni regionali dall’alta velocità. I flussi di cassa per gli investimenti regionali nei prossimi anni saranno così alti da rendere inappetibile questo comparto, mentre ha senso una quotazione dell’alta velocità perché gli investimenti sono conclusi, ha una buona redditività e ci muoviamo in un segmento di libero mercato. Tuttavia per procedere serve uno specifico decreto governativo. E in ogni caso non è questo il momento, come ha detto anche il ministro dei Trasporti Graziano Delrio: non avverrà in questa legislatura».
Si abbasseranno i prezzi per i viaggiatori?
«Siamo in un libero mercato con un modello regolatorio che è stato adottato dall’Italia per prima in Europa. Seguiamo le leggi dell’economia dove il prezzo è l’incrocio tra domanda e offerta. È ovvio che dove più forte è la competizione, i prezzi al chilometro siano più bassi per il consumatore. Immagino che l’arrivo dei nuovi treni di Ntv aumenterà l’offerta e ciò potrà generare una diminuzione dei prezzi. Ma non ci preoccupa perché crescerà la domanda nel complesso».
C’è un evidente gap di infrastrutture tra Nord e Sud.
«Non c’è dubbio. Ma in termini di pianificazione, i corridoi ferroviari sono indistintamente al Nord e al Sud. Che poi la costruzione sia iniziata dal Nord dipende più da un fatto di domanda di trasporto. Ma abbiamo cominciato anche con le infrastrutture al Sud: è partito il cantiere della Napoli-Bari e sono stati stanziati 10 miliardi di investimenti in Sicilia per il triangolo Messina, Catania, Palermo. E anche la linea passante di Palermo è in fase di ultimazione. Il Ponte di Messina secondo me va fatto. Non c’è motivo per non completare il corridoio. Il problema del Ponte è il modello di project financing: è sbagliato pensare che possa essere finanziato al 100% dai privati. Fa parte del corridoio ferroviario perciò va finanziato con gli stessi criteri. Bisogna capire come farlo rientrare nei corridori ferroviari europei dal punto di vista normativo».
A marzo è stata avviata la produzione dei nuovi treni regionali.
« Nel 2019 iniziano le consegne per cambiare il 50% dei treni del Paese, dopo una gara molto importante, con 5 miliardi di base d’asta. Stiamo spingendo per avere ritmo di consegna di 16 treni al mese per un totale di 530 nuovi mezzi su un parco complessivo di 1.200. Il 20% è già stato sostituito. Con questi in arrivo nel 2021 avremo il 70% della flotta regionale nuova, il restante 30% è in revamping. Mostreremo i prototipi dei treni Pop e Rock».
E in Lombardia troverete un accordo con Trenord?
«C’è un contratto con Trenord, di cui siamo soci al 50% con la Regione Lombardia. Scade nel 2020, c’è un dialogo aperto con l’ente. Al momento è fuori dal piano d’investimento per i nuovi treni. Piano al quale stanno aderendo le altre Regioni. Abbiamo dichiarato la nostra disponibilità anche alla Lombardia. Vedremo».
A Milano avete investito per la prima volta nelle metropolitane.
«Il capoluogo lombardo ha già il numero di chilometri per cittadino più alto in Italia. Ma è più basso rispetto ad altre capitali europee. Molto è dovuto al modello di finanziamento dei progetti, che richiede elevati contributi degli enti locali. Il modello del project financing fa spesso aumentare il costo del denaro per gli elevati tassi a cui si finanziano i costruttori. La presenza di un soggetto come Fs riduce il costo dei finanziamenti a beneficio del Comune: un esempio è quanto sta accadendo in Metro 5. Guardiamo oltre Milano: la stima è che il 66% degli abitanti risiederà nelle 14 città metropolitane entro il 2050, quindi bisogna fare in fretta a costruire e potenziare la rete di metropolitane».
Francesca Basso e Daniela Polizzi per L’Economia del Corriere della Sera