Intelligenza artificiale, miniera di big data per l’impresa 4.0

La quarta rivoluzione industriale ha sdoganato il cognitive computing, la realtà virtuale e altre soluzioni hi-tech inaugurando un’era di integrazione fra dati e tecnologia. Ma non sarà un affare esclusivo della manifattura

Produrre, archiviare e catalogare fiumi di dati senza poi farne un valore aggiunto in grado di orientare la strategia d’impresa equivale a correre una maratona giusto per il gusto di ricevere la medaglietta di partecipazione. Essere attori passivi di una rivoluzione che invece ha molto da offrire a chi è disposto a mettersi in gioco. Non è un caso che i big data siano considerati dagli addetti ai lavori dell’economia digitale, e non solo, il nuovo oro del terzo millennio, soprattutto per la loro capacità di fornire più informazioni di quelle che apparentemente i manager pensano di avere. Se fino a qualche tempo fa i dati sui guasti macchina abitavano lontano da quelli sugli ordini o sulle rimanenze di magazzini (o magari anche nello stesso “quartiere” ma senza parlarsi), grazie allo sviluppo di tecnologie basate sull’intelligenza artificiale tutte queste informazioni all’apparenza senza nessi trovano ora un panorama unico in cui fungere da fattore abilitante della trasformazione digitale.

Le soluzioni di machine learning o di cognitive computing riescono infatti non solo a togliere un numero incalcolabile di ore dalle attività svolte sul sempreverde foglio Excel, ma connettono fra loro tutti i dati raccolti offrendo una visione d’insieme che consente di prendere decisioni strategiche più mirate e aderenti alla realtà aziendale. A spingere questa frontiera smart delle informazioni digitali è stata la diffusione del paradigma industria 4.0 che, unendo soluzioni basate su cloud, IoT e altro ancora, ha forse messo per la prima volta in piazza i vantaggi che i big data possono offrire alle aziende. E in particolare l’importanza di non dotarsi semplicemente di tecnologia, ma di instaurare processi di raccolta e analisi che sappiano estrarre un valore aggiunto dalle informazioni.

Il fatto che la spinta di coscienza sia arrivata dalla quarta rivoluzione industriale non significa che i big data siano un affare esclusivo del mondo manifatturiero. Anzi, tutt’altro. Ne sanno qualcosa gli esperti di marketing, che già da tempo si dilettano fra gli insight forniti dai sistemi AI guadagnando giorno dopo giorno un vantaggio competitivo sui colleghi meno digitali. O ancora gli esperti del mercato media, che si stanno sforzando di far capire al settore come cambierà il loro lavoro fra social media e analytics. E si potrebbe continuare così a lungo citando le nuove frontiere dello smart retail, le opportunità per l’agroalimentare o le trasformazioni nel mondo della finanza.

Queste che oggi appaiono applicazioni di nicchia o per pochi smanettoni sono destinate, prima a poi, a diventare un affare di tutti. La vittoria del prima o del poi dipenderà molto probabilmente dalla spinta che arriverà dagli utenti del web e dai consumatori digitali, vale a dire dai padroni contemporanei dell’evoluzione digitale dell’economia. Intercettare le loro abitudini sarà un obbligo per chi vorrà sperare di essere e rimanere sul mercato. Anticiparle sarebbe ancora meglio ma non è mai semplice, vista la rapidità con cui cambiano i modelli di consumo. In ogni caso, l’importante è accorgersene e non è un passaggio sempre così scontato. Basti pensare a chi vede ancora l’intelligenza artificiale come un qualcosa di futuristico, senza accorgersi che l’assistenza personale con cui parla all’interno del suo home-banking non ha carne e ossa, ma è un chatbot.
Oppure a chi non sa che il nuovo iPhone che sta per comprare fa dell’intelligenza artificiale il proprio cuore pulsante.

Due esempi di come il cognitive computing, il machine learning e le altre declinazioni dell’AI siano già nelle nostre vite quotidiane, che testimoniano un trend evolutivo destinato ad un’accelerazione negli anni a venire. La rapidità di penetrazione di queste tecnologie emergenti dipenderà naturalmente da molti fattori. In particolare, da un lato, dalla diffusione delle cosiddette infrastrutture abilitanti, e dall’altro, dalla formazione dei data scientist. E ancora una volta, come spesso accade quando si tratta di economia digitale, il binomio tecnologia-competenze farà la differenza.

Andrea Frollà, Repubblica.it

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