Quale impatto avrebbe sul cambio dell’euro l’ingresso dei 6 stati dell’Europa orientale? Ecco una breve analisi.
Il cambio euro-dollaro è salito intorno alla soglia di 1,20 nelle ultime sedute, segnando una crescita del 13-14% rispetto all’inizio dell’anno. Mediamente, la moneta unica ha guadagnato circa il 6% contro le altre valute quest’anno, segno di un rafforzamento dell’economia nell’Eurozona e conseguenza di aspettative rialziste sui tassi BCE da qui ai prossimi mesi, man mano che Francoforte dovrà ritirare il piano di stimoli monetari varati negli anni passati. A utilizzare l’euro come moneta nazionale sono oggi 19 stati europei, mentre il Montenegro l’ha adottato unilateralmente, pur non facendo parte formalmente dell’unione monetaria, né della stessa UE. Restano fuori dall’area 9 stati UE, ovvero Danimarca, Svezia e Regno Unito, oltre che i sei dell’est: Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca, Croazia, Romania e Bulgaria.
Sul piano formale, tutti gli stati della UE, ad eccezione di Regno Unito e Danimarca, si sono impegnati senza alcuna scadenza vincolante a introdurre possibilmente in futuro l’euro. Va da sé che non accadrà a Londra, che sta, addirittura, per uscire dalla UE, mentre anche Copenaghen si è voluta tenere le mani libere, optando per la fissazione di una parità tra la sua corona e l’euro, attorno alla quale il cambio può fluttuare nei fatti di pochi decimali di punto percentuale.
Euro più debole, se entra l’est Europa?
Mentre il dibattito in tutta l’Europa dell’est divampa sull’opportunità o meno di fare ingresso nell’Eurozona, ci chiediamo quali sarebbero le conseguenze per noi che vi siamo già dentro. Ovvero, nel caso in cui anche l’Europa orientale adottasse in blocco l’euro, il cambio si rafforzerebbe o meno? La risposta immediata e quasi istintiva che viene da dare è che dovrebbe indebolirsi, non fosse altro perché, per quanto in crescita, le suddette economie sarebbero mediamente più deboli di quelle che attualmente appartengono all’area.
Risposta inesatta. L’impatto che l’ingresso degli stati dell’est avrebbe sul cambio euro-dollaro, che qui utilizziamo quale proxy per il valore della moneta unica contro tutte le altre divise, dipende dalle variazioni che subirebbe la domanda di euro per l’acquisto di beni e servizi da un lato e per le transazioni finanziarie dall’altro. In altre parole, se il blocco dell’est segnasse complessivamente un deficit commerciale verso il resto del mondo, la domanda di euro diverrebbe relativamente più bassa, mentre salirebbe quella di dollari, sterline, yuan, yen, etc. L’euro si indebolirebbe. Viceversa, si rafforzerebbe.
Est Europa in attivo commerciale con USA
Ora, prendendo a spunto solamente le relazioni commerciali con gli USA, notiamo come i 6 suddetti stati dell’est abbiano registrato nel totale un avanzo commerciale di 10 miliardi. Insomma, apporterebbero all’Eurozona un contributo positivo per la domanda di euro, anche se resta da verificare quale sarebbe il saldo finanziario netto, il quale presumiamo, però, si gioverebbe proprio dell’ingresso nell’unione monetaria, attirando capitali dal resto del mondo più di quanto non accada già oggi.
Considerando che il surplus commerciale dell’Eurozona verso i soli USA sia stato nel 2016 superiore a 126 miliardi, l’apporto del blocco dell’est non impatterebbe significativamente, ma quanto meno possiamo supporre che non avrebbe nemmeno effetti negativi sul cambio euro-dollaro. In conclusione, non sarà l’est a rendere più competitive le merci italiane.
Giuseppe Timpone, InvestireOggi