A distanza di 14 mesi dallo shock del referendum sulla Brexit non è ancora chiaro quali siano stati gli effetti complessivi sull’andamento dell’economia britannica. Dati di diverso tipo e di carattere congiunturale vengono enfatizzati periodicamente dai vari schieramenti politici per accreditare le tesi di imminente recessione economica o di boom a seguito della “liberazione” dalle catene dell’Unione Europea. Questo continuo “rumore” di sottofondo della propaganda politica impedisce di avere un quadro corretto della situazione nel Regno Unito e dei suoi possibili sviluppi proprio ora che sono partiti i negoziati ufficiali.
In realtà una lettura integrata del quadro macro-economico consente di avere una visione più chiara. Lo scorso 3 agosto la Bank of England, nel tenere i tassi di interesse ed il programma di acquisto titoli (i.e. il Quantitative Easing britannico) invariati, ha chiarito i principali temi sul piatto.
Indiscutibilmente, la Brexit ha avuto un effetto immediato e percepibile sul valore della Sterlina, che è precipitata fino a perdere il 25% sull’Euro per poi stabilizzarsi su valori leggermente superiori. A seguito della svalutazione, l’economia britannica ha subito i classici effetti previsti dalla teoria macro-economica: un’impennata dell’inflazione e un aumento delle esportazioni per via del loro minor costo in termini di valuta straniera. Tuttavia l’inflazione, che era molto bassa nel giugno 2016 (+0,8%), è cresciuta a ritmi moderati fino ad un picco massimo del 2,9% a maggio 2017 ed ora appare in contrazione. Nulla di eclatante, rispetto ai disastrosi vaticini iniziali ed alle esagerazioni mediatiche. Le esportazioni sono cresciute dell’11% nell’ultimo anno, un dato discreto che però non ha dato i risultati sperati in termini di riequilibrio della bilancia commerciale che rimane sempre un deficit più o meno ai livelli del 2016. Le importazioni infatti, dopo un lieve declino iniziale a seguito dello shock valutario, hanno ripreso a crescere secondo un trend di lungo termine più che compensando l’effetto della svalutazione.
Allo stato attuale, i dati non mostrano nessun effetto tangibile sul livello degli investimenti fissi lordi, nonostante le preoccupazione della Bank of England di un impatto negativo della Brexit. Sebbene il secondo trimestre 2016 mostri una robusta crescita dell’1% degli investimenti, il valore più alto dal 2015, secondo la banca centrale britannica l’incertezza sugli esiti del processo di negoziato sta inducendo le imprese a rimandare gli investimenti ed i dati futuri potrebbero vedere un progressivo calo. La maggiore inflazione ha però impattato sulla crescita dei consumi delle famiglie, che si è dimezzata dal +0,8% del giugno 2016 al +0,4% attuale. è stato il rallentamento di questa componente ad influire negativamente sulla crescita del PIL, che è passata dallo +0,6% (su base trimestrale) nel giugno 2016 al +0,3% dell’ultimo trimestre. È quindi corretto affermare che il Regno Unito sia ora il paese a più bassa crescita dell’Eurozona, anche se gli effetti complessivi della svalutazione della Sterlina restano modesti e non ci sia stata la tanto paventata recessione che la stessa Bank of England vedeva come inevitabile già dall’autunno scorso. Inoltre, guardando all’andamento dell’inflazione e dei consumi è lecito assumere che gli effetti depressivi maggiori della svalutazione siano già stati trasferiti (pass through) all’economia reale e che i prossimi mesi possano vedere un ritorno a condizioni più stabili.
Nonostante la crescita deludente, è necessario rimarcare il dato della disoccupazione. Si tratta di un valore molto basso, il 4,5%, vicino al livello di piena occupazione e assai distante dalla media europea del 9,1% (per non parlare dei casi dell’Italia, all’11,1% e Spagna al 17,8%). La disoccupazione nel Regno Unito si va riducendo mese per mese dal novembre 2011, quando raggiunse un picco dell’8,5% e il trend discendente non è stato minimamente intaccato dagli effetti della Brexit su Sterlina e PIL. Il fatto che la crescita dei salari sia ancora modesta induce a ritenere che ci sia ancora spazio perché il tasso di disoccupazione possa continuare a scendere per diversi mesi.
In definitiva, la Brexit ha avuto degli effetti tangibili sull’economia britannica, che ha dovuto assorbire l’impatto di una rapida svalutazione della Sterlina tramite una maggiore inflazione ed una più bassa crescita dei consumi. Nel complesso però la magnitudo degli effetti è apparsa finora limitata mentre è ragionevole supporre che l’influenza della svalutazione vada smorzandosi nel tempo. L’economia britannica mantiene i parametri di un economia in stabile crescita che ha assorbito bene lo shock valutario anche grazie alle corrette misure di politica monetaria prese tempestivamente dalla Bank of England.
Il futuro resta ovviamente un’incognita: un percorso accidentato dei negoziati che metta in pericolo il raggiungimento di un accordo ragionevole tra le parti potrebbe rinfocolare le turbolenze e l’incertezza, colpendo soprattutto il livello degli investimenti futuri e quindi la crescita potenziale del Paese.
Marcello Minenna, Huffingtonpost