L’economia della ciambella di Kate Raworth smonta le teorie economiche pensate e scritte nel Dopoguerra, ancora imperanti. E propone una rivoluzione epocale in sette pilastri, dalla ridistribuzione al coltivare la ricchezza sociale
Ripensare un’economia che funzioni per il 21° secolo, ripulita dai mantra liberisti che la dominano da decenni e in grado di affrontare le sfide che demografia, sviluppo e uso delle risorse pongono. Un programma vasto e scoraggiante, si sa. Ma L’economia della ciambella di Kate Raworth è libro prezioso perché coglie la sfida: e con linguaggio semplice e illustrato (niente formule matematiche però) aiuta “anche i neofiti” a smontare i dogmi del mercato e della crescita a ogni costo, offrendo lo stato dell’arte del pensiero economico non ortodosso chiamato a reindirizzare la distribuzione della ricchezza e lo sfruttamento delle risorse. Il titolo viene dall’immagine plastica trovata dall’economista britannica – docente a Oxford, già ricercatrice per Oxfam e Onu – per disegnare l’area in cui l’attività umana deve e può svilupparsi: sopra un livello minimo (definito da 12 priorità tra cui cibo, salute, istruzione, igiene, energia, equità) che rendono la vita umana tollerabile e sostenibile, ma sotto ai confini planetari (rappresentati da cambiamento climatico, inquinamento chimico, uso di acqua e territorio, perdita di biodiversità e altri) che la nostra generazione sta sfidando, con rischio di superare qualche punto di non ritorno. La fascia circolare “sicura per l’ambiente e socialmente giusta per l’umanità” ha, appunto, forma di ciambella.
In 300 pagine il saggio di Haworth, da poco pubblicato da Edizioni Ambiente, oscilla tra pessimismo della ragione e ottimismo della volontà. Nel primo caso, demistifica gran parte delle teorie economiche anglosassoni pensate e scritte nel Dopoguerra: un’altra era geologica, benché siano ancora insegnate nei principali atenei, e ossequiate dalla politica e dall’informazione economica. Eppure, dieci anni di turbolenze e recessioni negli Usa e in Europa, e l’attuale scorcio di ripresa – ma senza che si riprendano il lavoro e i prezzi – hanno messo a nudo le carenze e i pericoli del “mercato”, e che la mano pubblica, se ben mossa, è la sola a potervi fare fronte. Un memo prezioso per l’opinione pubblica e i professori.
Più originale la parte costruttiva del libro, o come dice il sottotitolo le “Sette mosse per pensare come un economista del XXI secolo”. Eccole: 1, cambiare l’obiettivo dalla crescita del Pil al rispetto dei diritti degli uomini e del pianeta; 2, inserire l’economia nel contesto più ampio della vita naturale, fuori della quale – scriveva già John Ruskin nel 1860 – “non c’è altra ricchezza possibile”; 3, coltivare la natura umana e le sue ricchezze sociali, che la fanno molto più ampia del modello razionale di homo economicus che ha dominato il Novecento; 4, comprendere la complessità dei sistemi, ben più interconnessi e articolati di quando, decenni orsono, furono tracciate in equilibrio meccanico le curve del mercato e della domanda; 5, “progettare per redistribuire”, superando la teoria (Kuznets) per cui la disuguaglianza sarebbe stata curata dalla crescita; 6, “creare per rigenerare”, poiché nemmeno il degrado ecologico si è rivelato curabile con la crescita; 7, essere agnostici sulla crescita: che non può essere infinita, mentre infinita dovrebbe essere la prosperità umana, Pil o non Pil.