E’ appena diventato esecutivo il pignoramento di beni da circa 10 milioni e mezzo subito dal fenomeno del web Gianluca Vacchi. Il che significa, come raccontato da Quotidiano.net, che yacht, ville, azioni e persino quote del golf club Casalunga di Castenaso sono ora di proprietà del gruppo Banco Bpm, l’istituto di credito che ha ordinato l’azione sui beni del novello cinquantenne che con i suoi balletti e le sue boutade spopola sui social network. Al centro della vicenda c’è un prestito da oltre 10 milioni rilasciato alla società First Investments di Vacchi a suo tempo dal Banco Popolare, di recente poi convolato a nozze con la Popolare di Milano (da qui il nome Banco Bpm). E’ tra le righe dell’ultimo bilancio della First Investments, chiuso il 31 agosto del 2016, che si scoprono retroscena e dettagli inediti sulla vicenda.
Innanzitutto, va detto che il bilancio della First Investments, come evidenzia l’amministratore unico Vacchi nella nota integrativa, è stato archiviato con un mini utile da 198.219 euro, che si confronta con quello, ben più sostanzioso, da oltre 2 milioni dello stesso periodo dell’esercizio precedente. Poiché la società opera di fatto come una holding, acquista cioè partecipazioni in altre società, il valore di produzione è nullo, mentre l’utile si genera grazie a tutta una serie di proventi di varia natura. Ebbene, nel 2016, il mini utile di poco più di 198 mila euro è scaturito principalmente dagli interessi, pari in totale a 563.372 euro (in flessione dai 779.065 del 2015) sui finanziamenti concessi alle società Cofiva Holding ed Eleven Finanziaria. Ora, la Cofiva è azionista della stessa First Investments, con una quota del 25%, mentre il restante 75% è in mano a Vacchi (tra l’altro azionista della società Ima, guidata dal cugino Alberto Vacchi). L’Eleven Finanziaria è invece una controllata della First Investments.
In particolare – e qui la catena di controllo delle varie società-scatola del gruppo Vacchi si fa decisamente ingarbugliata – la First Investments ha in mano una partecipazione del 33,3% dell’Eleven Finanziaria. E quest’ultima è una sub-holding della First Investments, con sede a Bologna e titolare, a propria volta, del 21,5% della Finanziaria del vetro, società al vertice del gruppo industriale Finvetro, che produce e commercializza fari per auto e oblò per lavatrici e, in generale, prodotti in vetro pressato. L’Eleven Finanziaria controlla, poi, la Win (Web investiment network nv, con sede nei Paesi Bassi), dichiarata fallita dal tribunale di Bruxelles il 24 marzo del 2015. Tirando le somme, la First Investmenst ha realizzato il mini utile del 2016 principalmente grazie a interessi su finanziamenti concessi a una società azionista, la Cofiva appunto, e a una controllata, la Eleven Finanziaria, che come visto è capo di una piccola galassia di altre società.
Basta dare uno sguardo alla relazione dei revisori dei conti di Bdo allegata al bilancio della First Investments per scoprire i retroscena del prestito accordato alla società di Vacchi dal Banco Popolare, fino a prima della fusione con la Bpm guidato da Pier Francesco Saviotti. Dopo avere dato il loro benestare ai numeri al 31 agosto del 2016, i revisori di Bdo mettono in evidenza una criticità – quel che in gergo finanziario si chiama richiamo di informativa – e si soffermano così sul debito finanziario residuo, pari a 8 milioni e mezzo, costituito dalla “linea B” del finanziamento erogato alla holding nel maggio del 2008 dalla Popolare di Verona, vale a dire dall’allora gruppo Banco Popolare. Nella nota integrativa del bilancio firmata da Vacchi, si legge che la First Investments, il 31 dicembre del 2015, “ha sospeso il pagamento delle relative rate di rimborso”, come definite dopo la rinegoziazione del prestito risalente al maggio del 2015, “in quanto, da un’analisi più approfondita delle condizioni contrattuali originarie, sono emersi profili di nullità e/o inefficacia delle stesse”. Questo, ovviamente, è il punto di vista di Vacchi.
Conseguentemente – si legge sempre nella nota integrativa – l’8 settembre del 2016 “la società ha presentato specifico reclamo avverso l’istituto bancario, il quale ha risposto dapprima contestando le deduzioni formulate e successivamente inviando intimazioni di pagamento alla società. A fronte di tale diffida, la società ha risposto contestandone il contenuto e depositando specifico ricorso all’Arbitro bancario finanziario (Abf), nonché specifica azione di accertamento negativo del debito, depositata presso il tribunale di Verona in data 24 dicembre 2016″, ossia alla vigilia dello scorso Natale. Insomma, dal bilancio della First Investments emerge una battaglia senza esclusioni di colpi con il Banco Bpm, che come visto ha poi deciso di procedere con il sequestro dei beni, anche di lusso, di Vacchi. Eppure Vacchi non si dà per vinto: “Nelle more del giudizio civile – si legge sempre nel bilancio – l’amministratore unico segnala di avere la ragionevole aspettativa di una positiva conclusione, per la società, delle azioni avviate e di aver conseguentemente redatto il bilancio, come i precedenti, nella prospettiva della continuazione dell’attività”. In pratica, nella prospettiva di quella continuità aziendale che costituisce un presupposto fondamentale per la redazione di un bilancio.
E qui entra in scena il collegio sindacale della First Investments. Che, nella sezione di bilancio dedicata, “evidenzia che la prospettiva della continuazione dell’attività risulta condizionata alla capacità della società di far fronte agli impegni assunti, anche in considerazione del contenzioso in corso con l’istituto di credito e della rilevante posizione creditoria vantata nei confronti del socio Cofiva Holding”. Sì, perché, nonostante la riduzione per circa 2,7 milioni di euro registrata nel 2016, dal bilancio della First Investments spuntano finanziamenti a favore di Cofiva per 21,1 milioni. Ma di chi è questa società? Da documenti depositati al registro delle imprese, si apprende che la Cofiva è controllata con una quota di maggioranza di quasi il 55% dallo stesso Vacchi, mentre un’altra quota di quasi il 30% è in mano a un altro componente della famiglia, Bernardo.
L’ultimo bilancio della Cofiva, quello riferito al 2015, si è chiuso con un super utile di 14,6 milioni, realizzato principalmente grazie ai circa 16 milioni di dividendi staccati dalla controllata lussemburghese Cofiva sa. Dal ginepraio delle finanziarie-scatola di Gianluca Vacchi, si evince che la Cofiva sa ha in mano una partecipazione indiretta pari a circa il 14% nella Ima (nel dettaglio, la Cofiva sa ha il 24,5% di Sofima, che a sua volta ha il 57% dell’azienda), società quotata in Borsa che opera nella progettazione e produzione di macchine automatiche per i settori farmaceutici, cosmetici e alimentari. Tale partecipazione indiretta del 14%, ai valori correnti di Piazza Affari, vale circa 455 milioni di euro. Ima è controllata dai tre rami della famiglia Vacchi, tra cui quello di Gianluca, che non a caso siede nel consiglio di amministrazione ma senza incarichi operativi come in passato l’azienda ha tenuto a precisare, e quello di Alberto, già in corsa per il vertice di Confindustria che ricopre il ruolo di presidente e ad della società.
A utili di Cofiva, come appena visto, consistenti corrispondono però debiti ben maggiori. Il bilancio riporta, infatti, alla fine del 2015, debiti complessivi per quasi 38 milioni, di cui 11 verso le banche e quasi 22 verso “imprese collegate” (si legga alla voce First Investments). Per quanto riguarda l’esposizione verso le banche, si segnala il mutuo ipotecario acceso nel 2012 con la Popolare di Vicenza (di recente messa in liquidazione e finita, per la parte “buona”, all’interno del gruppo Intesa Sanpaolo) con scadenza alla fine del 2017 e iscritto a bilancio a un valore di 6 milioni. Due milioni di euro di questo prestito, si legge tra le righe del documento, non erano stati ancora rimborsati alla data del 27 maggio del 2016. E questo perché, anche su questa esposizione così come per quella di First Investments con il Banco, “sarebbero emerse alcune irregolarità”. Da qui la sospensione dei pagamenti e, anche in questo caso, il ricorso all’Arbitro bancario finanziario competente. In ogni caso, il bilancio di Cofiva precisa che “riguardo ai debiti verso le banche, Gianluca Vacchi ha rilasciato fidejussioni personali a favore di Unicredit e Banca di Bologna, rispettivamente per 150 mila euro e 5 milioni, a garanzia delle posizioni”. Insomma, garantisce il re del web; salvo sequestri di beni, si capisce.
Carlotta Scozzari, Business Insider Italia