Al fondatore chiesti pieni poteri per risollevare il marchio. Patrice Louvet sarà alla guida della casa di moda dopo quasi 30 anni in Procter&Gamble
Il fine settimana a Parigi del presidente Donald Trump e signora e il tweet entusiasta con cui Donald ha salutato Emmanuel (Macron) e Brigitte, ovviamente, non c’entrano nulla. Ma anche le coincidenze hanno il loro fascino specialmente se si tratta della moda e di una griffe americana che ha moltissimi estimatori anche qui, tra i raffinati fashion blogger parigini che, difatti, l’hanno soprannominata «la marque BCBG», iniziali di Bon Chic Bon Genre e che, da lunedì 17 luglio, ha una ragione in più per essere apprezzata nel paese dell’haut-couture.
Stiamo parlando di Ralph Lauren, un colosso (per la verità un po’ acciaccato quanto a performance finanziarie, fatturato e margini) da 7,2 miliardi di dollari (6,3 miliardi di euro), 750 milioni di dollari di ebitda (654 milioni di euro) e perdite per un centinaio di milioni, che da ieri, ha un nuovo patron, un presidente-direttore generale francese, un cinquantenne di Saint Cloud, laurea alla Escp, una delle business school più antiche e prestigiose d’Europa, master alla Illinois University e quindi una carriera quasi trentennale (è entrato nel 1989) alla Procter&Gamble dove ultimamente si è occupato della linea Pantène e dei rasoi Gillette.
Sarà una bella sfida per Patrice Louvet, che ormai si considera più americano che francese per stile di gestione aziendale e visione del mondo.Infatti, chi l’ha nominato, Ralph Lauren, 77 anni, l’ex venditore di cravatte che ha creato uno stile raffinato e un po’ vintage, da vecchia borghesia hamptoniana (East Coast, le spiagge di Hampton e Martha’s Vineyard, boiserie e yacht di legno ormeggiati in rada ) è, come tutti i fondatori di aziende, un tipo gelosissimo e perfino permaloso, che vorrebbe, questo sì, un collaboratore che gli rimettesse i conti in ordine e gli facesse superare la crisi di un modello di business fin troppo datato, ma che al tempo stesso non gradisce le critiche ed è convinto di avere ancora il tocco magico degli anni d’oro quando poteva permettersi di aprire uno store lussuoso, oggi chiuso, proprio di fronte alla Trump Tower, a Manhattan, quasi a sfidare l’allora giovane immobiliarista destinato alla Casa Bianca.
Patrice Louvet dovrà essere più abile e, soprattutto più diplomatico, dell’unico ceo che l’ha preceduto, nell’autunno del 2015 (prima Ralph non ci pensava affatto a cedere le redini dell’azienda), lo svedese Stefan Larsson che aveva dalla sua una lunga esperienza di gestione di marchi che hanno cambiato il corso recente del mercato del pret-à-porter come H&M e Old Navy, filiale di Gap.
Larsson, in un anno e mezzo, ha rivoluzionato il modello di business della Ralph Lauren, ha chiuso decine di negozi (compreso quello, iconico, di Manhattan), licenziato un migliaio di dipendenti, rimesso in discussione la filiera dei fornitori internazionali, quasi tutti in Cina e in Estremo Oriente, con l’obiettivo di accelerare il turnover dei capi d’abbigliamento nell’epoca di Instagram e di Amazon (basti dire che ancora oggi il cambio di una linea dei tanti marchi Ralph Lauren richiede almeno quindici mesi di lavoro e di preparazione).
Insomma, ha lavorato bene come risanatore ma molto meno bene come gestore della finanza aziendale che, infatti, ha registrato alla fine del periodo 204 milioni di dollari di perdite operative in aggiunta a maggiori costi per 370 milioni di dollari da imputare alla voce «ristrutturazione».
Ma quel che l’ha fatto saltare, quel che ha causato la sua fine (una fine indolore, va detto, perché Larsson ha incassato 16 milioni di dollari di compensi più 10 milioni di dollari di liquidazione per interruzione anticipata del contratto) è stato il tentativo, questo sì davvero azzardato visto il personaggio, di dire la sua sullo stile della casa, di interloquire sulle collezioni disegnate da Ralph e da un gruppo di fedelissimi che interpretano la sua visione del mondo (della moda).
«Dans la mode, c’est pourtant le nerf de la guerre», sì lo so, è stata la moda il campo di battaglia dov’è caduto il mio predecessore, dice quasi per scaramanzia il manager francese che per la prima volta, dopo un quarto di secolo alla P&G, si trova a fare i conti con un azionista particulier, il padrone di casa insomma, che solo i fondi d’investimento e gli azionisti istituzionali potrebbero, eventualmente, allontanare (se le performance aziendali dovessero restare ancora a lungo sul brutto stabile).
Louvet, in altre parole, non dovrà fare altro che continuare il lavoro avviato da Larsson. Con una sola differenza, fondamentale: ha chiesto a mister Lauren di avere «les coudées franches», come si dice qui in Francia, avere pieni poteri di gestione. Se no per questa vecchia gloria della moda americana non c’è futuro.
Giuseppe Corsentino , Italia Oggi